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26 ottobre 2006


Il codice dei sogni

di Luca Tremolada

Loro non sono come noi. Luca Prasso e Andrea Maiolo sono quanto di più vicino al personaggio di Neo (Keanu Reeves) in Matrix: loro leggono la matrice. Dietro a un ghigno di Shrek o a una acrobazia di Spider Man ci sono numeri, formule, linguaggi di programmazione, vettori, trigonometria applicata, matrici inverse. Loro sono tra coloro che scrivono quei codici, che danno vita a sogni digitali. Entrambi lavorano negli Stati Uniti, il primo come supervisore tecnico ai character della DreamWorks, il secondo, Andrea Maiolo, come direttore tecnico dei personaggi di Industrial Light Magic, la società della Lucas Film che, tanto per fare un esempio, ha realizzato gli effetti speciali di tutti i cinque episodi di Guerre Stellari. Dai loro schermi sono passati film di animazione come Shrek, Final Fantasy, e i recentissimi la Gang del Bosco e I pirati dei caraibi 2. E tutto o quasi è nato da una camera vuota proiettata su un monitor. Là dentro, in quello spazio in tre dimensioni, punto per punto prendono forma orchi verdi, automobili parlanti, cascate mozzafiato, galeoni fantasmi, super eroi che popolano i blockbuster di Hollywood. «Qualche giornalista ci ha anche definiti i macellai del virtuale, perché squartiamo i personaggi creati digitalmente per dargli vita», racconta il 42enne Luca Prasso. In realtà aggiunge Andrea Maiolo, 35 anni torinese «preferiamo definirci coloro che trasformano le statue in marionette». Senz'altro, al di là della definizioni, rappresentano l'avanguardia informatica alla guida di quell'invasione di bit che ha contaminato pubblicità, turismo, video musicali, arte, automotive, cinema, design e che prende il nome di virtualizzazione della rappresentazione della realtà.
Da un punto di vista tecnologico nei laborari degli effetti speciali e dei film di animazione vengono messi a punto quei software e quelle competenze che, con tempi scanditi dal peso economico dei mercati e dall'abbassamento dei prezzi, si preparano ad investire anche altri settori. Un esempio è Henry LaBounta, chief visual officer del colosso dei videogame Electronic Arts (Ea) che oggi dà anima e fisicità ai calciatori di Fifa ma qualche mese prima era responsabile agli effetti speciali di Minority Report e vincitore di un Oscar nel 2007 per Twister. Nel corso della Virtuality Conference, la manifestazione dedicata alla computer grafica e all'animazione che si è tenuta la settimana scorsa a Torino, LaBounta ha svelato come è riuscito a simulare la stanchezza - più passa il tempo, più l'atleta si ingobbisce - il movimento delle braccia, le espressioni facciali nei giocatori elettronici attraverso tecniche di motion capture su calciatori reali. Nel prossimo gioco del basket, ha anticipato, gli atleti dell'Nba cambieranno espressione del viso in base a chi avranno di fronte: sorridendo con l'aria un po' ebete da piacione davanti a una cheerleader o con lo sguardo truce mentre ha la palla il rivale. Accanto al dialogo sempre più fitto tra cinema e videogame, ci sono settori che solo da pochi anni cominciano a dare del tu al virtuale. Come quello dei beni culturali: attraverso dispositivi di "realtàaumentata" l'opera viene arricchita da informazioni, filmati e ricostruzioni digitali. O come la medicina. Negli Stati Uniti alcuni psichiatri utilizzano in chiave terapeutica la realtà virtuale per riportare il paziente a rivivere determinati eventi traumatici come l'11 settembre o, nel caso dei militari, la guerra del Golfo.
E poi, naturalmente c'è tutto quell'universo di mondi collegati a Internet, da Second Life ai giochi di ruolo come World of Warcraft, dove si sperimentano nuove relazioni sociali e attività economiche. Per prendere le misure di questo fenomeno basti sapere che è nata in Italia, sul modello di Avventure nel mondo, un'agenzia di viaggi nei mondi virtuali (Synthravels) per favorire l'incontro tra neofiti ed esperti di mondi sintetici.
Sono tutti segnali di un processo di contaminazione digitale senza precedenti. Se si allarga lo sguardo, infatti, quello a cui stiamo assistendo è un moltiplicarsi di porte, di cancelli che ci conducono in realtà virtuali a volte parallele a volte con leggi di gravità e regole completamente nuove.
Ma per capire l'impatto di questa invasione del digitale bisogna ritornare là, nel dietro le quinte del grande schermo. «Nel cinema siamo a fine corsa - spiega Andrea Maiolo -. La potenza dei computer e l'evoluzione dei programmi informatici ci hanno spinto al limite negli effetti speciali. Diciamo che ci sono veramente poche cose che non si possono realizzare. Davy Jones, l'uomo polipo dei Pirati dei Caraibi 2 è completamente virtuale, anche gli occhi, finora un ostacolo, sono realizzati interamente al computer. Come del resto la metà delle scene girate in quel film, completamente ritoccate pixel per pixel dalla Industrial Light Magic».
In un video mostrato in anteprima alla Virtuality Conference, il giovane torinese ha svelato il gioco di specchi dietro a queste produzioni: attori in tute tempestate di sensori che recitano muovendo oggetti invisibili. Dopo essere passata per le mani di squadre di centinaia di esperti programmatori, questa nuova generazione di attori potenziati perdono tutti i loro connotati fisici per trasformarsi in creature di fantasia. «Il limite - aggiunge Prasso - sono i soldi e i tempi di realizzazione. Producendo un alto numero di film a ritmo serrato spesso si rinuncia a sperimentare».
«Tuttavia, i passi in avanti sono straordinari. Sotto il proflo tecnico - aggiunge Maiolo - qualche anno fa creare l'acqua e il fuoco erano un tabù. Oggi in un film come Poseidon, sia il transatlantico che l'onda del mare (che sono i due protagonisti), non esistono. Li abbiamo realizzati e animati noi, goccia per goccia, cabina per cabina.
«A dire il vero - si corregge - non è stata una fatica come per le mutande di Hulk». Cioè? «Quando Bruce Banner si trasforma nel gigante verde per ovvii motivi si strappa tutto tranne le mutande, cioè i pantaloni. Il problema è che il computer non ha idea dei volumi. Ci sono tecniche che calcolano la collisione tra due superfici, ma allora nel 2003 il software non faceva queste operazioni o quantomeno non era accurato abbastanza. Insomma, bisognava rendere aderente i calzoncini ai glutei e io, pixel per pixel, ho avuto l'ingrato compito di ritoccare tutte le sequenze a mano. È stato imbarazzante».
Prima delle mutande, c'erano i capelli. Due anni prima, sempre Maiolo, ha lavorato a Final Fantasy il primo lungometraggio con attori digitali della storia del cinema: «ricordo la fatica per realizzare la chioma della dottoressa Aki». Ognuno dei 60mila capelli è stato è stato animato e renderizzato separatamente per un costo che ha superato i cinque milioni di dollari. Ma in termini tecnologici il 2001 è storia antica
Oggi quello che lascia senza fiato è la possibillità di intervenire sulla realtà, di trasformarla cambiarne il Dna in una mutazione che inquieta. Realtà e finzione su uno schermo diventano indistinguibili.
«Beh, in un certo senso è così – riflette Maiolo –. L'anno scorso il regista dei Pirati dei Caraibi ci ha chiesto: per l'isola dei pirati ho delle belle riprese delle montagne di Mach Pichu. Noi abbiamo timidamente fatto notare che a Machu Pichu non c'è il mare. Questo - è stata la sua risposta - è un problema vostro". E così è stato.



 

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