Due volte la settimana, alle 6 di sera, una trentina di persone si ritrovano al negozio Nike di Portland per fare una corsa. Alla fine i membri del club podistico Niketown si fermano a parlare nello store. Lo staff del negozio registra le loro performance e accoglie chi ha abbattuto la soglia delle cento miglia. Intanto i clienti di Whole Foods, supermercato biologico di Seattle, si incontrano per una serata per "single" che si tiene ogni primo venerdì del mese. Il marketing del negozio organizza degustazioni di vino e assaggi di cibi, lasciando il resto all'iniziativa dei singoli clienti, che possono decidere di portare un fiocco rosso o blu a seconda che stiano cercando un partner maschile o femminile. «È divertente — commenta Michelle deAnda, responsabile marketing del supermercato —. Si può incontrare gente con i propri stili di vita».
I due eventi sono un classico dell'"experience branding": trasformare le aziende in qualcosa di più di semplici venditrici di merci. Così iniziano a comunicare e a stringere i legami con i clienti più fedeli, creando comunità che idealmente possono aumentare le vendite. Le principali marche dell'informatica cercano di rafforzare questi elementi "esperienziali" con la creazione di comunità simili, utilizzando soprattutto le catene al dettaglio che aumentano le opportunità presso i negozi tradizionali di pari passo con gli sforzi online per avviare una "conversazione" con i clienti.
Il ceo della Nike, Mark Parker, ha sostenuto davanti agli analisti che il nuovo potere dei consumatori è «il cambiamento più rivoluzionario degli ultimi quattro o cinque anni: sono loro a dettare i termini e le modalità del dialogo, ormai diventato a tutti gli effetti una conversazione a due sensi».
Mentre si intensificano gli sforzi nella costruzione di comunità online, i retailer Usa proseguono in quella che Jeff Smith, capo del retail globale di Accenture, indica come la pratica di usare il negozio ancora come il cuore della "brand experience". Cita l'esempio di Fiesta Mart, una catena di supermercati del Texas che ha puntato a conquistare la comunità ispanica locale a partire dagli anni 60 con serate organizzate nei parcheggi dei supermercati a base di cibo messicano e di mariachi. «È emblematico delle tante innovazioni nel retail: tutti ne erano a conoscenza, ma nessuno ha tentato di copiarne l'esempio», commenta Smith.
Ma adesso non è più così dopo che i negozi specializzati hanno moltiplicato le iniziative, sia nei negozi fisici che sul web. Per esempio Rei, una delle principali catene di attività sportive, ha avviato corsi di kayak e mountain bike all'interno dei propri negozi; PetSmart e Petco, i due big Usa nei negozi per animali, offrono lezioni di addestramento di cani e altri argomenti utili per gli amanti degli animali domestici; Cabela, specializzato nella caccia, tiene corsi di pulitura dei fucili e di pesca alla trota, arrivando a utilizzare fiumi artificiali.
Alcuni negozi hanno anche cercato di creare comunità in rete con un dialogo a due sensi, andando oltre il tradizionale utilizzo del sito dall'alto al basso, limitato alla comunicazione delle informazioni di base e alla semplice risposta alle domande dei clienti. Il sito PetSmart invita, per esempio, gli utenti a inviare foto che saranno poi pubblicate in rete.
Le implicazioni per il futuro dei marchi sono potenzialmente enormi. Nike sta rimettendo mano a tutte le sue operazioni di branding in seguito al successo registrato da due iniziative online lo scorso anno. Oltre 200mila atleti si collegano al sito Nike Plus, dove è possibile comunicare attraverso l'iPod della Apple. Il sito consente ai corridori di uploadare e confrontare le rispettive performance, e più della metà visita il sito almeno quattro volte la settimana rivaleggiando con le 1418 visite al mese da parte dei fedelissimi di Starbucks, che secondo il presidente Howard Schultz ne fanno «il retailer più frequentato al mondo ». L'obiettivo di Charlie Denson, responsabile del marchio Nike, è che il 15% dei 100 milioni di corridori in tutto il mondo arrivi a usare il sistema.
Separatamente joga.com, il sito di social networking di Nike, nato in partnership con Google in occasione della Coppa del mondo del 2006, ha registrato la visita di oltre un milione di persone che l'hanno utilizzato per avere pagine personalizzate sulla Coppa del mondo, mentre un video di Ronaldinho collegato è stato scaricato per ben 32 milioni di volte.
Denson sottolinea che la reazione alle due iniziative ha convinto Nike a suddividere le operazioni di brand in sei settori — corsa, basket, calcio, cultura sportiva, fitness maschile e femminile — con team di lavoro specifici incaricati di sviluppare i rapporti con le diverse categorie. Joga.com — sostiene — è «una piattaforma irresistibile», ma non sarebbe stata inserita in passato nell'ambito di una strategia di rapporto con il consumatore: «Quando la Coppa del mondo è finita, i nostri team di branding si sono messi a pensare alla prossima iniziativa. E io ho pensato "avete appena buttato nel fossato le chiavi del regno"».
In una logica simile, Procter & Gamble ha lanciato capessa.yahoo.com insieme a Yahoo lo scorso gennaio, un tentativo di costruire una comunità online «dove le donne possono condividere storie ispirate, così come informazioni pratiche sui diversi aspetti della loro vita». Ma il sito permetterà anche a P&G di ottenere informazioni «sugli interessi e sulle esigenze» delle donne, fornendo alla stessa società, in effetti, la propria versione dei club di podisti della Nike.
