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Second Life, per le aziende ritorno di immagine ma pochi profitti

di Gianluigi Torchiani

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18 luglio 2007

Numerosi articoli e recensioni hanno celebrato negli ultimi mesi Second Life, la più grande comunità virtuale tridimensionale di Internet. Anche il mondo dell'economia ha manifestato un forte interesse per questo fenomeno: grandi aziende come IBM, Nike, Microsoft, Cisco, hanno aperto delle loro sedi virtuali su Second Life e anche molte imprese italiane (come Gambetti, Lavazza) hanno fatto scelte simili. Tuttavia, in pochi si sono domandati se Second Life possa realmente avere una qualche influenza sulle sorti commerciali di un'azienda: a questo interrogativo ha cercato di dare risposta un report elaborato dall'Associazione italiana operatori digitali (Assodigitale). Lo studio, innanzitutto, fa il punto sulla reale consistenza numerica del fenomeno Second Life: la community conta oltre 7 milioni di residents (iscritti), ma solo una piccola percentuale, appena l'1,5%, può essere considerata attiva, cioè con un account a pagamento e un'intensa attività di socializzazione. «Gli avatar italiani che possono essere considerati attivi - spiega Michele Ficara Manganelli, il presidente di Assodigital – sono compresi al massimo tra le 10mila e le 20mila unità». Numeri, insomma, non da capogiro, anche se i residents attivi possono vantare delle caratteristiche socioeconomiche piuttosto interessanti da un punto di vista del marketing: il 60% sono uomini, il 70% ha tra i 18 e i 34 anni, il 40% ha un reddito annuale superiore ai 50mila dollari, il 90% è laureato/diplomato e la maggior parte svolge un'attività tecnica o creativa. In ogni caso, l'investimento in Second life presenta alcuni aspetti negativi: «Le aziende italiane – puntualizza Ficarra Manganelli - devono capire che difficilmente aprire un negozio virtuale su Second Life porta dei risultati concreti in termini di profitti. Anche la Nike, che pure ha una presenza di una certa importanza su Second Life, ricaverà dal suo negozio virtuale al massimo quanto da uno solo dei suoi negozi "reali". Bisogna essere chiari: l'unica società che oggi guadagna veramente grazie a Second Life, è la Linden Lab, ovvero l'inventrice del gioco». Inoltre, aggiunge il presidente di Assodigitale, gli utenti di Second Life manifestano una certa diffidenza verso la presenza delle marche nella community, e perciò le aziende devono anche imparare a porsi in modo non troppo aggressivo. Nonostante tutte queste premesse poco positive, il rapporto di Assodigitale invita comunque il mondo delle imprese a confrontarsi con quello di Second Life: «Quello che consigliamo alle aziende – spiega Ficarra Manganelli – è che se hanno dei soldi da spendere, farebbero bene a investirne una parte (ma non in misura eccessiva) in Second Life». «Questa operazione sicuramente non servirà a incrementare i profitti delle compagnie, ma potrebbe rivelarsi positiva in termini di visibilità e politica di branding. Second Life è poi già dimostrato un luogo molto adatto per fare delle sperimentazioni di prodotto».

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