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Energia, il conto non torna

di Marco Magrini

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8 novembre 2007

I signori dell'energia si incontrano nella Città Eterna. Il Who's who delle fonti fossili e rinnovabili – riunito sotto i colori del World Energy Council, un'associazione internazionale nata a Londra 83 anni fa – si è dato appuntamento a Roma la settimana prossima, per dibattere del «futuro nell'energia in un mondo interdipendente», come recita il titolo del congresso.
Dipende di quale futuro si parla. Futuro prossimo o remoto? Perché, da qui a metà secolo, la sfida energetica che attende questo pianeta interdipendente è molto, molto più spinosa del greggio a 95 dollari che impensierisce i frequentatori più assidui delle pompe di benzina.
I conti li hanno fatti – separatamente – Nathan Lewis, professore al Caltech di Pasadena, e Daniel Nocera, professore all'Mit di Boston. E, in poche parole, non tornano.
Lewis ha preso i consumi di energia mondiali espressi in joule (un joule uguale un watt-secondo), li ha divisi per il numero dei secondi di un anno e ha ottenuto la media dei consumi mondiali di energia al secondo: 14 terawatt-secondo, ovvero 14mila miliardi di watt.
A detta di Lewis e Nocera – i cui numeri sono leggermente diversi e cercheremo qui di mediarli – si può immaginare che nel 2050 l'umanità, per effetto della crescita economica e dell'aumento della popolazione, avrà bisogno di 28-35 terawatt. Si tratta ovviamente di una stima, ma certo non approssimata per eccesso: «se i previsti 9 miliardi di persone adottassero l'attuale standard dei cittadini americani – scrive Nocera in un articolo apparso sulla rivista Daedalus - nel 2050 il mondo avrebbe bisogno di 102 terawatt».
Ora, al mondo non manca il petrolio. Scarseggia solo quello facile da estrarre e raffinare. L'eccitazione intorno alle sabbie bituminose del Canada o peggio ancora agli scisti bituminosi americani, lascia intendere che il fondo di ogni barile può essere raschiato. E anche il fondo delle quasi sconfinate riserve di carbone. Ma, nel frattempo, il rischio del cambiamento climatico ha già portato a dichiarazioni di volontà politica – da Angela Merkel a Barak Obama – per una drastica riduzione delle emissioni da combustibili fossili nell'ordine del 50% o anche più, entro il solito 2050.
Dunque, da qui a metà secolo, il pianeta non dovrà trovare solo 20 terawatt aggiuntivi da fonti carbon-free, ma anche molto di più.
Si parla tanto di ritorno al nucleare. Costruendo ottomila centrali a fissione (attualmente da un gigawatt l'una), ovvero una ogni due giorni, «si potrebbero ottenere 8 terawatt di energia», dice Lewis nel suo paper Chemical challenges in renewable energy. Un paradosso con un risvolto grottesco: ai quei ritmi, almeno con le tecnologie attualmente in uso, l'uranio andrebbe esaurito nel giro di dieci anni.
Ma considerazioni ugualmente curiose – e sinistre – si possono fare anche con le energie rinnovabili. Secondo i calcoli di Nocera, per produrre fra i 7 e i 10 terawatt dalle biomasse, bisognerebbe ricoprire l'intera superficie agricola del pianeta con piante adatte a fare da biocombustibile, lasciando spazio alle città, ma senza più nulla da mangiare. Con il vento, si potrebbe ottenere molta meno energia: al massimo 2,1 terawatt. Ma bisognerebbe ricoprire di pale eoliche tutte le aree in classe 3 o superiori (ovvero dove soffiano abitualmente venti sostenuti). L'energia geotermica dei continenti è stimata in 11,6 terawatt, ma non sarebbe molto pratico andarla a raccogliere. Anche l'idroelettrico, potrebbe contribuire al futuribile deficit energetico con 0,7 terawatt, ma solo costruendo nuove dighe in tutti i fiumi rimasti. «Il messaggio è chiaro», commenta Nocera. «L'energia aggiuntiva di cui abbiamo bisogno entro il 2050 non è ottenibile dalle fonti di cui abbiamo discusso finora: l'appetito globale per l'energia è semplicemente troppo famelico».
Un caso a parte: il sole. «L'energia solare – rimarca Lewis – è l'unica fonte rinnovabile che abbia la potenzialità di supplire al deficit di 10-20 terawatt di energia carbon-free da qui al 2050». Basti pensare che la fotosintesi rifornisce la biosfera di 90 terawatt e che, secondo le stime di Lewis, un'estensiva copertura fotovoltaica del pianeta – sempre per continuare nel gioco dell'assurdo – potrebbe raccogliere 60 terawatt (un tasso di conversione energetica del 10% su una potenzialità di 600 terawatt). Ma non è mica così facile. Con le attuali tecnologie di conversione, di stoccaggio e di trasmissione, il sistema è ancora troppo inefficiente e costoso, se non del tutto impraticabile. «Per ottenere sistemi di conversione energetica basati sulla luce – sintetizza Nocera – dobbiamo ancora sollevare il velo su grandi praterie della scienza molecolare». La fotosintesi, ad esempio, ha ancora molto da insegnarci, «ma le reazioni fra numerosi elettroni (che avvengono durante la fotosintesi) non sono state ancora comprese».
L'appetito globale per l'energia è famelico perchè, finora, una fetta minoritaria dei cittadini del mondo ha avuto l'opportunità storica di sfruttare – a costi bassi o irrisori – vasti giacimenti di combustibili fossili facili da estrarre, da trasportare e da stoccare. Anche il presidente George W. Bush, cresciuto in Texas proprio durante il boom del petrolio locale, ha ammesso che gli Stati Uniti – che da soli consumano 3,5 dei 14 terawatt del mondo – sono addicted, dipendenti dal petrolio.
Ma anche dal carbone, che è di gran lunga il combustibile a più alto tasso di emissioni di anidride carbonica e che – in Cina e negli Stati Uniti – fatalmente abbonda. Ora si fa un gran parlare anche del "carbone pulito" (fra virgolette): la produzione di energia elettrica con impianti capaci di catturare la CO2 e di stoccarla sotto terra. O sotto il mare. «Ma cambierebbe il Ph degli oceani, cambiando radicalmente l'ecologia della biosfera», commenta Lewis. Il quale, impallina anche lo stoccaggio sotterraneo: «Bisognerebbe che i magazzini di CO2 non avessero perdite: solo in Texas (dov'è già allo studio un impianto del genere, ndr) il terreno è stato trivellato oltre un milione di volte».
I rappresentanti dei 94 Paesi che aderiscono al World Energy Council (ministri, amministratori delegati, presidenti di associazioni, esperti) e che si incontrano a Roma da domenica a giovedì prossimo, guarderanno alle incognite geopolitiche, alle minacce ambientali, alle tecnologie pulite di breve o medio periodo. Però, come dimostra l'ardente questione del riscaldamento climatico, pare arrivato il momento storico di guardare anche ben più lontano nel tempo. La Città Eterna, potrebbe essere il luogo adatto.

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