Può l'open source essere un modello di business? Certo. Non ha dubbi Anthony Wassermann, professore alla Carnegie Mellon West, una delle voci più autorevoli nel panorama internazionale dell'open source, ospite d'onore al convegno "L'open source come modello di business", organizzato dalla Fondazione Politecnico di Milano e Ibm. Certo, ripete Wasserman, altrimenti non si spiegherebbe come mai nelle organizzazioni l'open source è dappertutto. Nelle infrastrutture Web services, application server, browser, mail server, sistemi operativi,..), nello sviluppo applicativo (modeling, testing, gestione della configurazione, project management,..), nelle stesse applicazioni, dal finance al Crm, dalle applicazioni verticali alle Sfa, all'audio video. L'espansione dell'open source, secondo Wassermann, è guidata dalla crescente accettazione dei principali prodotti open source (Linux, Apache, Firefox, JBoss, Eclipse), e, diciamolo, dalla insoddisfazione procurata agli utenti dai software tradizionali. Wassermann individua nove modelli, integrabili tra di loro e capaci in questa integrazione di esaltarsi. Vale la pena di elencarli paro paro, citando anche le aziende protagoniste dell'offerta: sottoscrizione (per versioni aggiornate di prodotti open source; Red Hat e Novell), supporto e training (Covalent, per esempio), packaging (per integrare open source con altri prodotti, come fa OpenLogic), hosted (per fornire servizi online basati su open source; Google e Yahoo), doppie licenze (per versioni libere; MySql), patrocinio (Ibm), miglioramento commerciale (RedHat, Oracle), consulenza (Accenture, Ibm), reseller (molti in tutto il mondo). Una grande vivacità, come si vede, anche se non mancano gli ostacoli. Innanzitutto, le paure e incertezze sollevate dalla gestione e da supporto e formazione, la perdurante convinzione sulla superiorità di caratteristiche e funzionalità dei prodotti commerciali, le preoccupazioni sugli aspetti di licenza e i relativi contenziosi, e altro ancora. Al convegno sono stati presentati i primi risultati di uno studio condotto dal Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano, che ha sviluppato un modello di analisi e di classificazione dei vari aspetti organizzativi relativi allo sviluppo dell'open source. Lo studio, basato sull'analisi di 75 progetti di open source di una certa rilevanza, ha rilevato che l'open source non si limita alla licenza con cui un'applicazione software viene rilasciata, ma si riferisce anche a modelli manageriali che stanno alla base del processo di sviluppo. I ricercatori stabiliscono che non esistono solo Microsoft e Linux, ma un continuum fra open e close. Dalla ricerca emerge che gli approcci di gestione dei progetti vicini all'estremo aperto hanno qualità più elevata, ma comportano anche costi maggiori, dovuti al forte impegno necessario per coordinare i vari (e numerosi) membri della comunità. La ricerca evidenzia anche il forte ruolo rivestito dalle aziende: più del 50% del lavoro è svolto, direttamente o indirettamente, da persone pagate per perseguire specifici obiettivi strategici e commerciali. Dal convegno arriva una raccomandazione per le software house, che non devono aspettarsi tanto una riduzione dei costi di sviluppo, quanto piuttosto il vantaggio derivato da un contesto che può contribuire al loro sviluppo, facendo leva su meccanismi di community marketing capaci di stimolare e recepire contributi da un ambiente globale.