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Trucioli da bruciare tra mille polemiche

di Paolo C. Conti

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Giovedí 13 Dicembre 2007
Nòva 100, il blog

Sorgerà nel Galles, in Gran Bretagna, produrrà una potenza di 350 megawatt e quando sarà completato, pare nel giro di un paio d'anni, sarà il più grande impianto energetico a biomassa del mondo, capace di fornire energia a migliaia di famiglie per almeno 25 anni bruciando trucioli di legno. Eppure la centrale di Port Talbot, annunciata in pompa magna dal governo inglese nei giorni scorsi, è già sommersa dalle polemiche.

Sarà perché quello delle biomasse è un tema delicato. Le centrali a pellet (quei trucioli di legno compressi che vengono usati anche da alcune moderne caldaie domestiche) rientrano nella categoria delle energie alternative. Sono "pulite", visto che liberano nell'atmosfera una quantità di anidride carbonica pari a quella assorbita dagli alberi per produrre il legno che le centrali bruciano. Basta piantare nuovi alberi per sostituire quelli tagliati, spiegano i sostenitori, e il gioco è fatto. E hanno anche altri vantaggi, come il fatto che questi trucioli compressi hanno un'alta resa energetica rispetto al loro volume. Ma alla fin fine bruciano comunque legno. E il legno arriva dalle foreste, che da qualche tempo a questa parte non se la passano particolarmente bene. E infatti, a poche ore dall'annuncio che gli stanziamenti per la nuova centrale erano stati autorizzati, molte associazioni ambientaliste, fra le quali anche Greenpeace, hanno alzato la voce.

La centrale di Port Talbot, la cui costruzione costerà 560 milioni di euro, funzionerà infatti usando la bellezza di tre milioni di tonnellate di legno l'anno, che secondo i piani verranno trasportate via nave dagli Stati Uniti e dal Canada. Un sistema assai poco ecologico, secondo gli ambientalisti, che in pochi giorni hanno raccolto 7mila firme nella città gallese per bloccare i lavori.

Ma le ragioni della protesta riguardano anche la qualità della vita degli abitanti di Port Talbot, che è una delle aree più inquinate della Gran Bretagna. Il Galles ha avviato tempo fa un massiccio programma per la promozione delle energie alternative nella regione e la nuova centrale dovrebbe contribuire da sola al 70% della produzione di energia pulita prevista nei prossimi anni. Ecco quindi un altro scontro: la Prenergy, l'azienda di Londra che dovrebbe costruire la centrale, sostiene che l'impianto non avrà alcun impatto significativo sulla qualità dell'aria, gli ambientalisti sono di parere diverso.

Il dibattito sulla reale biocompatibilità degli impianti energetici a biomassa non ha luogo comunque solo nel Galles. Progetti analoghi inducono discussioni e polemiche anche in Italia. Come a Viterbo, dove il progetto per la costruzione di una centrale del genere (più piccola rispetto a quella di Port Talbot) sta incontrando notevoli resistenze da parte della popolazione. Secondo dati diffusi recentemente da Itabia, un'associazione di addetti ai lavori, in Italia esiste un notevole potenziale di sviluppo per gli impianti a biomasse, che possono usare non soltanto legno, ma anche molti scarti delle produzioni agricole. Le biomasse disponibili nel nostro Paese, essenzialmente residui vegetali, potrebbero fornire già oggi energia, in impianti di teleriscaldamento, riscaldamento e acqua calda, per 4 milioni di abitazioni, oppure alimentare 130 centrali elettriche da 10 megawatt, spiega l'associazione.

La sola Sicilia produce per esempio circa due milioni di tonnellate di residui potenzialmente utilizzabili da questo tipo di impianto. Il Piemonte nel produce 1,6 milioni. La Lombardia 1,5 milioni.

Sono comunque molti i progetti del genere allo studio, o in fase di realizzazione, in Italia. La Toscana è fra le regioni più attive. Uno dei progetti più recenti, appena finanziato con quattro milioni di euro, prevede il riscaldamento con le biomasse di 14 borghi sparsi sul territorio.
E mentre le polemiche proseguono, qualcuno si sta attrezzando per trovare soluzioni alternative. Nel Maine, sulla costa orientale degli Stati Uniti, da cui dovrebbe arrivare gran parte del legno che servirà ad alimentare la centrale gallese di Port Talbot, un gruppo di scienziati ha dato vita a un progetto di ricerca chiamato Forest Bio-products Research Iniziative che si propone di escogitare nuovi sistemi per rendere più produttivo sotto il profilo energetico il legno, di cui le foreste del Maine sono assai ricche. «Le proprietà energetiche del legno sono enormi e ancora molto sottoutilizzate – ha spiegato uno dei promotori del progetto –. Fra un paio di decenni, guardando al modo in cui traiamo energia dalle foreste, ci sembrerà di fare un tuffo nel Medioevo».
Secondo questi scienziati il legno, usato per lungo tempo quasi esclusivamente per accendere fuochi, nasconde grandi potenzialità per la produzione di biocombustibili, materiali plastici, sostanze chimiche e altri materiali. Si tratta, sostengono, di mettere a punto tecniche nuove e di studiare a tavolino un modello di sfruttamento alternativo per le foreste del pianeta.

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