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Motorola: «Così si disegnano i cellulari del futuro»

di Luca Tremolada

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17 GENNAIO 2008
Motorola U9: il dovere o il piacere?
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A sopresa, con un gesto rapido, prende il mio vecchio cellulare, lo capovolge e mi mostra gli attacchi scoperti di cuffie e alimentatore: «Ecco, vedi, da questi dettagli si capisce che l'ingegnere ha prevalso sul lavoro del designer». Dal Design director della Motorola ti aspetteresti ben altri toni. Un panegirico della forma, una condanna dell'aridità della tecnica, invece Ignacio Germade è quanto di più lontano dallo stereotipo dell'artista creativo avvezzo a vivere in un iperuranio di emozioni e linee. «Fino a qualche decina di anni fa racconta il designer 41enne di passaggio in Italia per presentare il nuovo cellulare Moto U9 il lavoro del creativo nelle aziende di elettronica di consumo era molto diverso da come è adesso.

Ti davano in mano una "mattonella" e poi, come se fosse un pezzo di sapone, dovevi inciderla, dargli una forma, ben attento a non intaccare la tecnologia. Oggi, quantomeno alla Motorola, è tutto diverso: il processo che sta dietro alla creazione di un nuovo modello è molto più complesso. Il team di design lavora a braccetto con i tecnici, dal concept fino alla realizzazione finale. Ma prima di arrivare all'inizio di questo processo che può durare anche due anni, come nel caso di Moto U9, bisogna avere una idea».
La scintilla, spiega il creativo spagnolo, non nasce in ambienti insonorizzati lontani nel tempo e nello spazio. Anzi, è proprio immergendosi nel proprio tempo, nel quotidiano che il designer riesce a intuire quello che tra due anni accadrà. In questo senso, il lavoro del designer sembra molto simile a quello di uno sciamano chiamato a prevedere ciò che accadrà nel futuro. «In un certo senso è così. Quando dobbiamo pro-gettare un nuovo telefonino spiega Germade sappiamo solo quanto dovrà costare, che tecnologia avrà al suo interno e a chi si indirizzerà. Questi sono i punti di partenza imprescindibili, i paletti attraverso cui dovrà essere indirizzata l'ispirazione. Poi c'è la visione che porterà al concept». Per il designer della Motorola visione significa sintesi, incrocio tra le spinte che provengono dalla società e le opportunità aperte dalla tecnologia. «Il designer si pone al centro di questo processo, deve intuire cosa accadrà tra due anni, a quali influenze sarà sottoposta la società, quali modelli di consumo si saranno imposti. Deve intuire come cambia la comunicazione al cellulare.

Solo dieci anni fa un telefonino era formato da due wafer di plastica tenuti insieme da una tastiera. Oggi è un oggetto colorato, bello elegante, trasmette emozioni e rappresenta persone e stati d'animo».

Proprio per questo il design dei cellulari, osserva il creativo, risente sempre meno di influssi locali. «Le auto francesi, per esempio, hanno caratteristiche particolari che le rendono uniche nel mondo. Motorola è un Gruppo statunitense, ma i suoi telefonini non dicono America, non hanno caratteristiche proprie della cultura a stelle e strisce. Questo perché il design nell'elettronica di consumo ha una dimensione internazionale più marcata che in altri settori. Sappiamo che agli asiatici piace molto la tecnologia ma non produciamo telefonini ad hoc per questo o quel Paese. Perché un giapponese quando ha in mano un cellulare non pensa al suo essere giapponese, bensì a essere se stesso».

Eppure, è innegabile che un oggetto come il cellulare raccolga moltissimi stimoli dalla società risentendo anche da un punto di vista antropologico da influenze locali. Perché a differenza di un soprammobile, un telefonino deve fare i conti con un numero di variabili molto maggiore. Con gli ingegneri ad esempio.

Ignacio Germade, alla domanda se i tecnici siano nemici o amici della sua professione, si limita a sorridere. «Amici – risponde subito dopo – anche se non mancano gli scontri. Quando inizia il processo di realizzazione del cellulare si instaura un dialogo fittissimo tra noi e loro. Alle volte sono loro a suggerirci soluzioni di design, altre volte si accendono discussioni che dall'esterno possono apparire ridicole o peggio malate. Una volta, per esempio, siamo stati ore a decidere se diminuire lo spessore del telefonino di 0,1 o 0,2 millimetri. Oppure, ci siamo trovati da parti opposte del tavolo perché gli ingegneri non volevano mettere un dato materiale vicino all'antenna perché temevano interferenze». In questa fase il lavoro del designer ricorda molto quello del cuoco. O meglio dello chef. Miscelare ingredienti diversi, accostare tecnologie diverse, intercettare nuovi modelli di fruizione e declinarli per il mercato della mobilità. «È un lavoro dove non mancano compromessi. Tuttavia, la tecnologia sta diventando sempre più morbida, flessibile, capace di prendere qualsiasi forma». Il che sposterebbe molte delle responsabilità del successo o dell'insuccesso più sulle spalle di un designer che di un ingegnere. Ma per Germade è semplicemente una questione di visione. «Alle volte si progettano cellulari troppo avveniristici rispetto ai tempi. Si sorpassa una linea immaginaria e invisibile e si rischia di sbagliare. Con Moto U9, per esempio, abbiamo voluto creare un cellulare capace di scomparire nella mano. Capace di contenere al suo interno qualche cosa di segreto da condividere con il suo proprietario ». Germade mi mostra il suo Moto U9 nero, dalla forma morbida e arrotondata. Chiuso il cellulare sta tutto in una mano. Mi chiede di osservare con attenzione. Dopo qualche secondo, compare uno screens saver: un pesciolino si illumina sullo sfondo nero. Germade mi guarda: «Ecco questo è il mio segreto». Solo così comprendi cosa significa il design.

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