Non bastano matite e carboncini. Non funzionano nemmeno le sapienti forbici di chi a Montmartre ritaglia la silhouette del viso degli immancabili turisti a caccia di un ricordo parigino. Tracciare il profilo di un autore di virus informatici è un mestiere davvero difficile. È come se il soggetto in posa continuasse a muoversi senza mai dare il tempo, a chi lo deve ritrarre, di trasporre l'immagine su carta o tela. E proprio l'irrequietezza e la mobilità di questi personaggi diventano irresistibile incentivo a cimentarsi nella definizione di connotati in costante evoluzione.
L'approccio al problema. Sarah Gordon comincia una ventina d'anni fa a scoprire il fascino dell'antropologia telematica e della psicologia dei più imperscrutabili protagonisti di certi fenomeni che hanno segnato la storia dell'era digitale. Settembre 1994, Jersey (Gb), quarta edizione dell'International Virus Bulletin Conference: Sarah presenta il suo approfondimento sistematico su questo tema posando una sorta di prima pietra di un edificio culturale destinato per sua stessa natura a essere difficile da ultimare. Sonda quattro categorie potenzialmente "informate" in proposito e acquisisce elementi di valutazione da adolescenti "vivaci", studenti di college universitari, impiegati di vario livello e infine "pentiti", ovvero ex creatori di virus disposti a raccontare le proprie esperienze. Oggi ci sarebbe da intervistare una platea indiscriminata perché un simile "hobby" non è più così esclusivo.
Lo skill professionale dei creatori di questi micidiali programmini è, infatti, caratterizzato da una dinamica sostanzialmente involutiva. Il trascorrere del tempo scandisce la progressiva diminuzione del livello di specializzazione di chi crea soluzioni idonee ad aggredire e infettare sistemi Edp di ogni genere e taglia.
L'evoluzione naturale. Con il passare degli anni in perfetta sincronia con la semplificazione delle procedure sempre più "user friendly" e con il transito inesorabile dalla programmazione sintattica a quella per oggetti il privilegio di intervenire (un tempo riservato a una ristretta aliquota elitaria) si è poco alla volta sbriciolato, fino a dissolversi. In poche parole sono diventate facili e alla portata di tutti le tecniche per generare virus informatici capaci di propagarsi e proliferare.
Altro fattore di enorme condizionamento è dato dalla volgarizzazione di internet che, pur in vita dal lontano 1969, ha conosciuto capillarità domestica con la nascita del web dal 1995 e diffusione mobile con la recentissima esplosione della telefonia cellulare di terza generazione.
I primi virus del.secolo scorso, a voler azzardare analogie con i bacilli più prettamente sanitari, avevano possibilità di replicarsi "per contatto" e quindi per il tramite fisico di un vecchio floppy su cui, magari, era stato copiato fraudolentemente un "giochino" o un software applicativo. Adesso la rete consente contagi «per via aerobica» e l'atmosferica telematica veicola anche tutte le istruzioni necessarie per predisporre "ordigni" informatici. Quest'ultima circostanza spiega la proletarizzazione di un'arte che un tempo era riservata a una nobile casta di cyber-scriba. La condivisione della cultura e l'intercambio di opinioni ed esperienze hanno spalancato le pesanti porte di un mondo incredibile ed aperto a chiunque la via d'accesso ai segreti di questa venefica alchimia.
Gli stereotipi. Sono davvero in molti a immaginarsi l'autore di virus secondo standard classici che vogliono a tutti i costi che chi smanetta su un computer sia un ragazzino sfigato e pieno di problemi irrisolti. Tanti davvero sono pronti a descrivere il "virus writer" come un teen-ager con occhiali da vista magari con lenti spesse, bruttino al punto di accontentarsi della compagnia del suo pc invece di cercarsi una fidanzata (il tipico soggetto dovrebbe essere maschio), genitori separati o comunque poco interessati alla difficile vita del giovincello, conseguente malanimo nei riguardi di coetanei (che lo rifiutano) e degli adulti (che non lo considerano). Sicuramente ce ne sono anche così, ma qualunque identikit rischia di essere clamorosamente smentito in un batter d'occhio.
Senza dubbio il creatore di software avvelenato non è sereno e il sentimento prevalente è certo quello di "revenche". Tale condizione lo affanna e lo rende sensibile a ogni possibile input o semplice opportunità: è pronto a combinarne qualcuna, di proprio diretto interesse o – perché no? – su commissione.
L'inventore di malware, dizione in cui possiamo includere tutti i programmi con codici maligni, entra in azione non solo per ragioni strettamente personali (ad esempio un irrefrenabile desiderio di vendetta) o ideali (per supportare una presunta giusta causa): se qualcuno ha modo di solleticarne la fantasia possibilmente remunerando lautamente la prestazione d'opera il perfido genio informatico sa quanto sia inodore il denaro.
I fattori di impulso. La citata disponibilità verso il mercato fa emergere una nuova, meno leggendaria, figura del generatore di virus, soggetto particolarmente appetibile per un'industria fremebonda di contrastare con ogni mezzo la concorrenza o per uno schieramento militare che confida in baionette digitali per colpire a morte l'avversario.
Mentre è facile immaginare simili commitment, un po' più impegnativo è quantificarne il corrispettivo che varia in ragione delle performance richieste. Non esiste un listino, né un "Mister Prezzi" a indicare le quotazioni commerciali: quanto può valere un virus informatico che distrugge gli archivi di una azienda in competizione paralizzandone l'attività? Qual è l'importo Iva inclusa di uno spyware che consente di rubare il contenuto di segretissimi file amministrativi offrendo una irripetibile chance per scippare clientela o smascherare trattamenti agevolati da fornitori comuni? E quanto costa un trojan che permette di intrufolarsi nell'altrui sistema di elaborazione dati appagando inenarrabili curiosità professionali