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Batterie: così il futuro delle "pile"

di Guido Romeo

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10 Aprile 2008
Nova100

Nanotecnologie, idrogeno, metanolo e nuovi materiali a base di litio. Sono queste le tecnologie in gara per diventare le batterie del futuro e rivoluzionare non solo l'elettronica, ma anche i trasporti, per i quali si impongono limiti di emissioni sempre più stringenti. La sfida è superare le prestazioni delle batterie ricaricabili al litio introdotte nel 1990 e affermatasi come l'innovazione tecnologica più importante degli ultimi 100 anni.

«Non si tratta solo di rendimenti, ma anche di sicurezza», sottolinea Bruno Scrosati della Sapienza di Roma, che insieme a Michel Armand, oggi al Cnrs di Amiens, negli anni '80 ha proposto per primo il sistema "rocking-chair" alla base delle moderne batterie al litio. I casi di batterie al litio che hanno preso fuoco si contano sulla punta delle dita in un mercato che produce miliardi di unità ogni anno, anche se ha fatto scalpore il caso di Dell qualche anno fa. «Ma cellulari e pc utilizzano una, o al massimo tre celle di batterie – spiega Scrosati – mentre per muovere un'auto ne sarebbero necessarie centinaia e un incidente di questo genere sarebbe devastante all'esordio di un nuovo mercato». Per superare questi ostacoli i ricercatori puntano sull'integrazione tra ricerca accademica e industriale, come nel network europeo Alistore, che riunisce i migliori 18 gruppi di ricerca sulle tecnologie del litio di 10 Paesi che puntano all'utilizzo di nanopolveri e nanoelettroliti per lo sviluppo di nuove batterie.

Di Alistore fa parte il laboratorio di Scrosati alla Sapienza, ma anche aziende come il gigante delle batterie Saft e Toyota Europa. «L'utilizzo di nanostrutture ha già permesso di aumentare notevolmente le prestazioni delle batterie al litio e di far esplodere il mercato dell'elettronica di consumo – osserva Marina Mastragostino, chimica dello Smetec dell'Università di Bologna e parte – ma ora sono necessarie nuove soluzioni». Nel bersaglio c'è la cobaltite utilizzata per il catodo delle batterie al litio, che mal si presta a produzioni di massa per mercati come l'automotive per la presenza di cobalto, costoso e difficile da maneggiare, ma anche la grafite dell'anodo, che per quanto economica non sembra in grado di assicurare gli spunti di potenza indispensabili nell'accelerazione di un veicolo. La francese Saft ha brevettato leghe di ossidi di cobalto nichel-manganese per il catodo e c'è già chi sperimenta con leghe di manganese.

«Un altro materiale interessante è il litio-ferro fosfato, ma è difficile utilizzare materiali con capacità maggiori», spiega Mastragostino, che partecipa alla rete europea Ilhypos coordinata dall'Enea per lo sviluppo di condensatori a sali fusi in grado di sopportare temperature fino agli 80°C, che si incontrano nelle auto. I nanotubi di carbonio, guardati con molta attenzione nel settore dell'elettronica per la produzione di nuovi microprocessori dell'era post-silicio sembrano ancora troppo cari per questo settore, anche se molti li considerano interessanti per capacitori in grado di assicurare gli spunti di potenza necessari nei veicoli, oppure come sistemi di stoccaggio in design più complessi e radicali come quelli di un serbatoio di idrogeno per auto.

Il settore auto è dominato dai giapponesi, con Toyota che ha confermato di voler affiancare una versione ibrida a tutti i suoi modelli entro il 2020, ma anche in Italia si lavora alle quattro ruote pulite. Oltre ai progetti lanciati dai francesi di Bolloré in collaborazione con Pinifarina, il Centro Ricerca Fiat lavora sulle tecnologie del litio-nichel-manganese, ma anche allo sviluppo di nuovi modelli matematici per la gestione delle batterie e l'equipaggiamento di flotte di veicoli elettrici con batterie innovative, per prove estensive su sistemi ibridi e a 42 Volt. La ricerca punta però anche su soluzioni radicalmente nuove, soprattutto per utilizzi nell'elettronica portatile, come i nanofili di silicio sviluppati da Yi Cui e colleghi presso l'Università di Stanford, in California, che, a parità di dimensioni fisiche, hanno dimostrato prestazioni in grado di garantire fino a 40 ore di funzionamento di un normale laptop.

Sempre negli Usa, Lavm, la spin-off lanciata da Liviu Popa-Simil, ex ingegnere nucleare del Los Alamos National Laboratory dei militari Usa, guarda al materiale radioattivo come fonte di energia. Il concetto di pila atomica, in grado di trasformare le radiazioni in flusso di elettroni, non è nuovo ed era già stato utilizzato nelle missioni spaziali americane e sovietiche, ma in collaborazione con Claudiu Muntele, del l'A&M University dell'Alabama, Popa-Simil ha sviluppato un nuovo materiale termoelettrico in grado di estrarre 20 volte più energia dal decadimento radioattivo. Sul bancone dei ricercatori sono finiti anche molti materiali piezoelettrici, che hanno la caratteristica di produrre un flusso di elettroni se sottoposti a pressione. Lin Wang, ricercatore presso il Georgia Institute of technology di Atlanta, negli Usa, ha ricavato da uno di questi, l'ossido di zinco, un filo per tessere in una superficie che potrebbe diventare un generatore di corrente da installare in indumenti per permettergli di alimentare dispositivi portatili.

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