Ne avevamo dato conto qualche giorno fa: Jonathan Zdziarski, sviluppatore e grande esperto di iPhone, ha scoperto che nel software dell'iPhone è presente un programmino che, collegandosi a un sito internet di Apple, blocca le applicazioni non gradite. La notizia - come spesso capita quanto c'è di mezzo Apple - ha fatto il giro dei blog e dei siti internet specializzati di tutto il mondo. Finchè in un lungo articolo del Wall Street Journal - dove Steve Jobs parla dei successi del primo mese di «App Store» (60 milioni di applicazioni scaricate per 30 milioni di dollari) - arriva l'ammissione del numero uno della Apple. Secondo Jobs il programma serve per bloccare le applicazioni pericolose, in grado di catturare i dati personali dell'utente.
«Fortunatamente non lo abbiamo mai dovuto fare - ha detto Jobs a Wsj - ma sarebbe da irresponsabili non avere una soluzione del genere». Gli utenti di iPhone e la blogosfera di mezzo mondo non la pensano proprio allo stesso modo. Non tanto per la soluzione in sè, ma per la modalità comunicativa scelta da Apple. Ovvero il silenzio. Prima di Zdziarski (che nel frattempo sul suo blog racconta anche come bloccare il programmino di Apple) nessuno aveva mai parlato di questa opzione: è stata scoperta quasi per caso. Ora in molti parlano di eccessivo controllo, di «spie» inserite nello smartphone all'insaputa dell'utente. Apple, azienda indicata spesso come modello di comunicazione e marketing, questa volta non ci fa una gran bella figura.
Federconsumatori e Adusbef hanno inviato un esposto urgente al Garante della Privacy «per verificare le compatibilità con l'ordinamento italiano ed europeo», e si preparano, nel caso
fossero necessarie, ad intraprendere «azioni a tutela dei cittadini». (L. Sal.)