«Don't be Evil», non essere maligno, è il mantra che Google fino a oggi ha ripetuto a se stessa e al mondo. Evidentemente essere BigG non bastava più. Era proprio necessario realizzare anche un programma per usare internet? Forse sì. Ecco perché qualcuno ha visto a Google spuntare le corna.
In primis i blogger che in queste ore stanno passando ai raggi x la nuova creatura di Sergey Brin e Larry Page. Sono loro i primi che non ci hanno visto bene, che per storia e per passione tifano Firefox e che subito si sono andati a leggere la licenza d'uso, i regolamenti, tutto, scoprendo che non è chiaro come e se Chrome gestirà le informazioni sulle abitudini dei suoi utenti. Qualcuno pensa che potrebbero essere utilizzate per annunci pubblicitari personalizzabili, il che desterebbe non poche perplessità sotto il profilo della privacy. A dire il vero, il browser consente di navigare in forma anonima.
In ogni modo è bene ricordare che il business principale di Google resta quello della pubblicità, e che per gli investitori conoscere cosa vanno a cliccare gli utenti nel web è un'informazione che vale oro. E Google resta una società quotata in Borsa, chiamata a fare profitti e non web-beneficienza.
I guru e i possessori di Apple hanno alzato più di un soppraciglio, liquidando il nuovo navigatore come poco innovativo.
Entrando poi nei tecnicismi - che tanto piacciono agli esperti di informatica - c'è chi si è lamentato del fatto che Chrome si mangia troppa memoria «Ram», chi ha scovato una vulnerabilità nel sistema di autenticazione, e chi la mancanza del supporto alle Applet Java. Tutti difetti che la comunità di programmatori Open source potrà risolvere facilmente. Così come potranno essere dipanati i ragionevoli dubbi sul fronte privacy. Google Chrome è sfacciatamente un work in progress. Più errori verranno trovati, più facile sarà migliorarlo. Quello che sarà più difficile da cambiare è la caduta di immagine. Forse oggi Google ha smesso di essere simpatica come prima.