«Le compagnie di telecomunicazioni devono essere completamente ripensate in termini di strategia e struttura organizzativa». Le parole sono importanti. E l'amministratore delegato di Telecom Italia sa di doverle pesare molto bene: si ascoltano per comprenderne le conseguenze, si interpretano per scommettere sulla prospettiva che promettono, si valutano per prepararsi al momento della verifica.
Quindi, dicendo che «le telco vanno completamente ripensate», Franco Bernabè annuncia una svolta profonda. Ispirata da una consapevolezza: «Sì, siamo in un ecosistema. È scontato che la nostra crescita dipenda dalla domanda. Ma è altrettanto vero che lo sviluppo e l'innovatività delle persone e delle aziende dalle quali emerge la domanda dipendono a loro volta, anche, dalla nostra efficienza».
Tutto si tiene. E le responsabilità della Telecom nell'ecosistema dell'innovazione italiano sono enormi. Le conseguenze delle scelte di chi guida la Telecom Italia sono economiche e sociali, tecnologiche e culturali: possono frenare o accelerare la modernizzazione. Bernabè – lo diceva conversando con alcuni blogger riuniti a Rovereto qualche settimana fa – sa che la motivazione più grande, per il suo lavoro e per quello dei suoi collaboratori, è nell'assumersi fino in fondo quelle responsabilità. Cambiando radicalmente passo. «Basta yes man», dice. «Attraversiamo una rivoluzione», osserva. «Non possiamo più limitarci a coltivare il nostro giardino, ma dobbiamo abilitare i migliori giardinieri perché sviluppino le loro aiuole». E poi, en passant, pensando a una delle mille polemiche che girano nel settore, quella sulla net neutrality: «Non faremo i poliziotti della rete».
Già. Non per niente, Bernabè, 60 anni appena compiuti, si definisce un «mozilliano»: la sua predilezione per il browser open source è segno di una predisposizione culturale. Arricchita da qualche tratto se non da nerd, almeno da ammiratore della bella tecnologia. Ricorda con un sorriso il giorno in cui si costruì la sua radio a galena con i componenti trovati in un giornale. Ricorda con espressione umilmente complice i programmi che scriveva in Basic. E ricorda con orgoglio i primi anni di attività professionale durante i quali ha avuto l'opportunità di studiare scenaristica utilizzando i modelli di simulazione sviluppati da Jay Forrester, resi famosi dagli studi sui Limiti dello sviluppo di Donella Meadows al Mit. Se n'è evidentemente ricordato per tutta la sua carriera: l'Eni, la Telecom Italia, la fondazione di diverse imprese, la Rothschild, la Petrochina. Regalandosi anche un po' di tempo per la ricerca artistica, dalla Biennale al Mart.
Tornato il 3 dicembre del 2007 alla guida di Telecom Italia, Bernabè ha dedicato i primi mesi ai temi ineludibili del breve termine. Ma ora può e deve articolare la sua strategia. E ha cominciato a raccontarne i presupposti a Nòva. Un primo incontro, una settimana fa, per un vero e proprio dialogo. Poi uno scambio di mail. E infine un'intervista venerdì scorso, preceduta – nello stupore dei suoi diretti collaboratori – da una nottata passata a scrivere il testo, molto articolato, che pubblichiamo nel nostro blog, a corredo di questo necessariamente breve resoconto.
Il progetto di Bernabè parte da una constatazione che ne dimostra l'urgenza. «Attraversiamo una rivoluzione. Un tempo l'innovazione era il privilegio dei grandi centri di ricerca. I Bell Labs, lo Xerox Parc... Discendeva da quei centri. Oggi nasce ai margini del sistema, è imprevedibile, emerge dal basso, da piccole aziende, dai consumatori stessi. Questo impone un cambiamento anche nel contributo di Telecom Italia. Certo, noi portiamo la connettività, ma il valore viene da chi la usa per innovare: ebbene, dobbiamo fornire strumenti per abilitare i clienti e le aziende che innovano a esprimere tutto il loro valore. E, di conseguenza, a sfruttare al meglio la connettività che esiste». L'ecosistema.
E quali sono questi strumenti? «Un massiccio investimento infrastrutturale che prevede la progressiva sostituzione del rame con la fibra e un investimento molto grande per l'inserimento in rete di piattaforme sulle quali gli innovatori che stanno ai bordi della rete possano sviluppare, fornire, gestire servizi. Non sto parlando di hosting di applicazioni, bensì un vero e proprio motore di interconnessione tra applicazioni». Con una precisazione: «Continuo a parlare di connettività. Telecom non cambia mestiere. Assicura connettività. Ma spostando l'attenzione verso la connettività tra applicazioni».
La visione deve essere ampia, la missione concreta. «Dove il mercato è maturo, come in Italia, non è più possibile pensare al futuro in termini di crescita indefinita della comunicazione tra persone: non si può navigare, telefonare, guardare la tv per più di 24 ore al giorno. Ma ci sarà un'esplosione di comunicazioni tra ambienti e oggetti». L'internet delle cose. Macchine che parlano con macchine. «Già oggi molti prodotti contengono computer. In futuro i componenti elettronici saranno pensati anche per comunicare con l'ecosistema. I sensori e i chip a basso costo abilitano uno scenario in cui, entro una decina d'anni, nel mondo ci saranno mille miliardi di "entità comunicanti". Sarà un cambio radicale».
CONTINUA ...»