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Le ragioni di un successo

di Vincenzo Cosenza*

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Giovedí 27 Novembre 2008

La mia curiosità verso Facebook risale a ottobre dello scorso anno, in seguito alla scoperta di uno strumento di targetting, che permette agli inserzionisti "fai da te" di decidere a quale tipologia di utenti del social network esporre la propria pubblicità. A ben vedere, agli occhi dell'analista dei fenomeni sociali, il tool in questione, presente all'indirizzo www.facebook.com/ads, svela una serie di dati utili sugli iscritti (nazione, età, genere, scolarizzazione, interessi, stato civile, luogo di lavoro), difficilmente resi disponibili da altri servizi web.
Presto la curiosità ha lasciato il posto all'analisi paziente e così ho iniziato a collezionare i dati dei flussi in ingresso degli italiani nel cosiddetto "giardino recintato". Dall'inizio dell'anno ad agosto i connazionali iscritti alla rete sociale, nata ad Harvard nel 2004, crescevano a un ritmo regolare di circa centomila al mese; alla fine di agosto erano poco più di seicentomila, poi subito dopo la prima settimana di settembre hanno sfondato il tetto del milione di utenti. Da lì in poi la crescita è stata esponenziale fino agli oltre quattro milioni e centomila di oggi. Ma cos'è accaduto in quella strana settimana nella quale Facebook ha "attraversato il burrone", per dirla con Geoffrey A. Moore, superando le simpatie degli early adopter ed entrando nella vita della early majority?
Due le ipotesi che ho provato a verificare: l'influenza dei media tradizionali e il passaparola offline. Se la seconda risulta difficile da indagare in maniera diretta, la prima può essere misurata con precisione analizzando quotidianamente i dati forniti da un qualsiasi servizio di rassegna stampa. In particolare, per capire il livello di interesse dei giornalisti e il possibile impatto sui lettori, ho analizzato le occorrenze della parola «Facebook» sia nel titolo degli articoli, che nel solo corpo degli stessi.
All'inizio dell'anno Facebook viene citato soprattutto come comprimario di altri social network, poi a marzo, quando spunta l'annuale classifica degli uomini più ricchi del pianeta, viene identificato come la creatura del giovane miliardario prodigio Mark Zuckerberg.
A maggio rispunta nei pochi titoli dei maggiori quotidiani, a seguito dei rumor di un interesse di Microsoft ad acquisirlo, dopo il fallito accordo con Yahoo!.
Nella prima metà di agosto, quando l'Italia sonnecchia sotto gli ombrelloni, i giornali iniziano a riportare timidamente i dati di ComScore che proclama il sorpasso di Facebook nei confronti del rivale MySpace in termini di visitatori unici mensili. Nell'ultima settimana del mese e nella prima di settembre i titoli dedicati a «FacciaLibro», come viene scherzosamente chiamato in rete il social network, sono solo cinque. Insomma proprio quando gli italiani si iscrivono in massa, i nostri giornali parlano di "fuga da Facebook", riprendendo un pezzo de «Le Figaro» che riporta la decisione di alcuni Vip e migliaia di francesi e spagnoli, di abbandonare il proprio account, stufi di gestire le troppe richieste di amicizia o gioco. I mass media nostrani, ignari del milione e trecentomila iscritti alla fine di settembre, rimangono silenti fino a ottobre quando iniziano ad accorgersi che esiste un fenomeno italiano e provano a scriverne, soprattutto rimarcando gli aspetti meno edificanti, come i rischi connessi alla esposizione dei propri dati personali.
Dunque sicuramente si può escludere un effetto "trigger" diretto dei mass media sul picco di adozione registratosi durante la prima settimana di settembre e continuato per tutto il mese.
Rimane l'ipotesi del passaparola sviluppatosi prima online, grazie al tam tam degli utenti più attenti ai nuovi servizi web e poi proseguito offline, durante il periodo estivo. Questa circostanza, difficilmente verificabile in maniera diretta, è sostenuta indirettamente da alcuni studi sociologici, dai quali emerge chiaramente che gli utenti usano Facebook non tanto per fare nuove amicizie ("bridging"), cosa che accade invece agli iscritti a Badoo, ma per tenersi in contatto con vecchi amici o connettersi a persone incontrate offline ("bonding"). Per cui è probabile che alla fine dell'estate molti italiani si siano lasciati con la promessa di restare in contatto attraverso questo nuovo strumento di relazioni per poi, dopo essersi iscritti, essere catturati dai suoi meccanismi virali di scoperta di nuovi contatti, dalle sue applicazioni giocose, dalla chat interna e dal fascino voyeristico del lifestreaming. Insomma una parabola diametralmente opposta a quella emblematica di Second Life, il mondo metaforico dei Linden Lab che, oltre un anno or sono, fu indubbiamente costruita, spinta e poi affossata dai media mainstream e degli uffici stampa delle aziende che si vantavano di aver colonizzato per prime i suoi territori.
*responsabile di Digital Pr a Roma
www.vincos.it

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