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Facebook & Co: il fenomeno delle reti sociali non è per tutti

di Gianni Rusconi

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6 agosto 2009

Una disposizione degli Stati Generali della Marina americana vieta ai suoi soldati, sia all'interno dei confini Usa che all'estero, di utilizzare Facebook e Twitter dai personal computer forniti loro in dotazione. I due social network più in voga del momento sono uno strumento assai sfruttato dai marines per tenersi in contatto con parenti e amici, ma uno studio sui rischi legati alla probabilità di rendere pubbliche informazioni segrete ha consigliato i vertici militari di chiudere il rubinetto alle attività di comunicazione personale condotte sui siti del "Web 2.0". Giorni addietro fu Bill Gates ad annunciare di aver chiuso (volontariamente) la propria pagina su Facebook perché ingolfata da troppe richieste di amicizia e troppo impegnativa da gestire quotidianamente per l'ex numero uno di Microsoft. Come Gates altri top manager di grandi compagnie americane non sembrano, almeno a detta di una recente ricerca di UberCEO.com, troppo avvezzi ai social media: solo due (Buffet di Berkshire Hathaway e Lafley di Procter&Gamble) su 100 hanno infatti un blog personale sul Web e solo 19 hanno aperto un profilo su Facebook, lasciandolo però assai scarno di informazioni e spesso desolatamente vuoto alla voce "amici". Eccezioni che confermano la regola? O il fenomeno dei social network rischia di limitarsi a una specifica classe di utenti, che oltretutto si divono a loro volta secondo opinabili distinzioni di natura sociale – o addirittura razziale secondo alcuni studi - in chi "sta su Facebook" (poco meno di 250 milioni di utenti) e chi "sta su MySpace" (circa 150 milioni)? Presupposto che il "limite" in questione abbraccia orami quasi un miliardo di persone sul pianeta - il solo sito cinese QQ ne conta 300 milioni - e che si dimentichi per un attimo il fatto che i bilanci dei vari attori in gioco siano tutt'altro che brillanti, tutto fa pensare che le due ipotesi convergano, che il fenomeno è più vivo che mai nonostante presenti non pochi lati oscuri.

Americani innamorati "infedeli" dei social network
Là dove il fenomeno è nato e si è sviluppato, negli Stati Uniti, Facebook, MySpace e Twitter continuano – defezioni eccellenti a parte – a crescere e in termini di tempo speso dai consumatori on line sui loro siti questo era praticamente raddoppiato anno su anno (i dati sono quelli raccolti da Nielsen Online) alla fine di giugno. Parliamo di numeri esorbitanti, di qualcosa come 15 miliardi di minuti mensili passati complessivamente dagli utenti di Facebook a chattare e a condividere foto e altro, di 120 milioni di video scaricati da MySpace in 30 giorni con una media di 40 minuti di visione pro capite da parte degli utenti di questo social network. Attenzione però, come fanno notare alcuni addetti ai lavori, che le mode sono passeggere e la popolarità di un sito venire meno in tempi anche più rapidi di quelli occorsi per salire alla ribalta. La velocità con la quale i consumatori passano da una piattaforma all'altra è una componente intrinseca del Web 2.0 e dei social network in particolare e ne sa qualcosa Twitter, pur essendo uno dei luoghi favoriti dagli internauti americani. Il 60% degli utenti del sito di microblogging caro al Presidente Obama pare abbandoni le attività di relazione chiudendo il proprio account solo dopo un mese e il 10% dei circa 10 milioni di iscritti, secondo uno studio dell'Harvard Business School, si farebbe carico del 90% dei contenuti pubblicati on line. Se, come nel caso di Twitter, più della metà degli aggiorna il proprio spazio con un nuovo "tweet" solo una volta ogni 74 giorni – e quindi una minoranza comunica con frequenza e altrettanti ascoltano - si può parlare di network di relazione globale, simmetrica e democratica? Il rischio che si creino e consolidino community fin troppo coese e numericamente ristrette è quindi latente, almeno per quei social media che per vocazione non si rivolgono a un pubblico di massa.

Una questione generazionale?
C'è infine, ed è un elemento fondamentale per analizzare il fenomeno dei social media, la questione generazionale. Uno studio di Anderson Analytics ha cercato per l'appunto di capire se esista o meno differenze legate all'età degli utenti nell'uso dei social network. Dallo studio è emerso che i giovani della Generazione Z (13/14 anni) e Y (15-29 anni) sono adepti di MySpace e Facebook e snobbano Twitter mentre la Generazione X (dai 30 anni in su) gradiscono soprattutto Facebook senza disdegnare Twitter e LinkedIN. Che i social network siano un fenomeno trasversale, oltre che globale, lo dimostrano anche gli oltre 10 milioni di adepti italiani ma ciò che stimola la curiosità degli addetti ai lavori è soprattutto capire se queste espressioni del Web 2.0 opereranno una netta differenziazione fra chi è "on" e chi invece preferisce relazionarsi off. Che Facebook e Co. porteranno cambiamenti nel modo di usare il mezzo e in quello di accedere ai media tradizionali diamolo pure per scontato.

6 agosto 2009
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