Per anni siamo stati abituati alle notizie gratuite in Internet ma questa realtà è destinata a mutare nel futuro. La strada è quella tracciata da Rupert Murdoch: l'informazione non può continuare a essere gratis. In Internet gli editori, finora, non hanno avuto gli stessi margini di guadagno rispetto alla carta stampata, le cui vendite sono in contrazione; le redazioni poi risentono le conseguenze di questa situazione. Ed è un falso mito che blog e social network possano sostituire in toto le testate giornalistiche. Queste svolgono il compito di dare forma e spessore ai fatti, trasformandoli in notizie, non si limitano a riportare un evento commentandolo. Affinché il sistema dell'informazione sopravviva è necessario passare a un modello di fruizione delle news on-line che preveda maggiori introiti per gli editori e si affianchi alla pubblicità sui siti. Un problema perché si scontra con le abitudini consolidate degli utenti. Come fare? La mobilitazione per trovare un sistema efficace è generale. Sono coinvolti Ibm, Oracle e Google. Anche il gigante di Mountain View si sta prodigando per proporre sistemi di pagamenti dedicati agli editori estendendo il servizio Checkout, nato come concorrente di Paypal. Siamo ancora nel campo delle supposizioni e tutta la questione ruota intorno a un documento in risposta alla Newspaper Association of America che chiedeva come monetizzare i contenuti digitali. La prospettiva di Google è prevedere un modello a micropagamenti o ad abbonamento per un paniere di testate. Il portavoce dell'azienda ci tiene a precisare che si tratta solo di un insieme contenente "alcune idee sottoposte all'attenzione della Naa per spiegare come impiegare tecnologie allo scopo di generare ricavi da Internet. Per quanto riguarda Checkout non abbiamo nuovi annunci da fare, ma siamo sempre alla ricerca di metodi di pagamento efficienti e intuitivi". Sta di fatto che Google ipotizza un'estensione del suo servizio destinandola a chiunque ne sia interessato al fine di creare un "ecosistema di contenuti premium", con la postilla che un contenuto "aperto" non è sinonimo di "gratuito". Per agire basterebbe seguire la falsariga dei negozi on-line di Apple (iTunes e App Store). Anche perché il costo che poi l'utente dovrà versare conterrà le commissioni per una serie di parti: proprio questa parte interessa a Google per potere scovare nuove vie di guadagno. Tuttavia c'è già chi dice che i pagamenti dovranno essere contenuti e che per determinare il prezzo sarà necessario tenere in considerazione la quantità di pubblicità a cui è soggetto l'utente che visita il sito. Qualcuno legge una sorta di "redenzione" di Google in virtù delle recenti inchieste in cui è stato coinvolto il servizio News anche dagli editori italiani. Sta di fatto che mettere un vincolo economico alle notizie prodotte porta con sé un obbligo implicito per giornalisti ed editori: produrre contenuti che valgano la pena di essere pagati. Perché ci sarà sempre qualcuno che sul Web produrrà news gratis; se le testate più importanti decideranno di scegliere la via dei micropagamenti, saranno "costrette" a giustificare concretamente il prezzo richiesto ai lettori.