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Bassoli (Cisco): «Ecco perché all'Italia serve una rete ultra broadband»

di Gianni Rusconi

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23 dicembre 2009


All'estero si investono miliardi, in Italia si prova timidamente a dare un senso concreto all'idea di costruire, a più mani, una nuova rete a banda larghissima. Lo sforzo profuso a fattor comune da operatori, pubblica amministrazione e utility locali pare abbia trovato un primo riscontro a Trento, dove sotto l'egida di Telecom Italia dovrebbe nascere una mini-società della rete per la posa della fibra ottica. Lavorare, potenziandola, sull'infrastruttura esistente è da tempo l'auspicio di molti degli attori della "questione" Ngn italiana ma di tempo se n'è perso anche troppo. A tutt'oggi un piano programmatico da tutti condiviso per la realizzazione della next generation network ancora non c'è e intanto gli altri (Paesi) non si fermano. Spagna e Germania vantano già servizi di connessione Internet a 50 e 100 Megabit, nel Regno Unito Bt ha confermato un investimento da 1,5 miliardi di sterline nella banda larga superveloce per completare la rete in fibra ottica che gestirà anche i Giochi di Londra del 2012, Stati Uniti e Francia hanno stanziato cifre miliardarie per coprire le aree scoperte dalle connessioni veloci. Lo scenario, per il Belpaese, non è dei più incoraggianti e per approfondire la questione il Sole24ore.com ha parlato con Claudio Bassoli, Clients Director in Cisco Systems Italia e manager con pluriennale esperienza nel settore delle telecomunicazioni.

Proviamo a riassumere lo stato della banda larga in Italia, fra piani disattesi e un progetto Ngn che non decolla
Se guardiamo ai livelli di penetrazione del broadband non siamo in una buona posizione, causa un livello di diffusione che si ferma intorno al 30% delle case. Prendendo in esame la qualità delle rete italiana, e quindi le capacità di trasporto dati, la situazione è anche peggiore, nel senso che siamo sotto il livello medio ritenuto necessario per distribuire via Internet i servizi e le applicazioni oggi più utilizzate da utenti residenziali ed aziende. L'Italia è al 38° posto su 66 paesi a livello mondiale, lo dice uno studio delle università di Oxford e di Oviedo. Sulla rete devono viaggiare video interattivi, soluzioni di collaborazione e comunicazione a distanza, servizi di cloud computing: oggi abbiamo un indice di qualità di 28 punti su una scala da 0-100, il requisito minimo europea è 30, occorre arrivare a 50.

Questo significa che l'utenza italiana si accontenta di servizi di discreta qualità e non necessita di quella larghezza di banda che serve per far viaggiare dati, video e applicazioni?
Sono dell'idea che determinate applicazioni saranno diffuse quando la qualità e la capacità della Rete avranno raggiunto livelli adeguati. E sono convinto che non si debba aspettare che sia il mercato a chiedere innovazione. Bisogna investire, subito, in una rete ultrabroadband a 100 Megabit, pervasiva, bidirezionale ed altamente sicura. Uscendo dal circolo vizioso secondo cui faccio la nuova rete quando gli utenti la chiederanno. Se si sta fermi, il gap con gli altri Paesi non può che aumentare.

Eliminare il digital divide è però una priorità, almeno sulla carta, del governo
I piani di sviluppo non mancano, e quelli per coprire tutta la popolazione italiana con connessioni di almeno due megabit e quello di eGov per digitalizzare la Pa e ridurre i costi esorbitanti della gestione dei servizi al cittadino vanno per l'appunto in questa direzione. Va però anche detto che fino a oggi la banda larga non è mai stata una reale priorità infrastrutturale del Paese.

Il problema è che, per costruire le nuove reti, manca un piano strutturato e pure le risorse
È indubbio che per le Ngn servano diversi miliardi di euro. Ma ciò che manca alla base è un vero piano industriale che ottimizzi le reti esistenti, pensato per realizzare un'infrastruttura basata su tecnologia punto punto che duri almeno 20 o 30 anni. Un'infrastruttura capace di servire alle aziende capacità di banda nell'ordine dei Gigabit e che possa ridurre, a regime, i costi di gestione operativa delle reti di centinaia di milioni di euro l'anno.

Ma chi la deve fare, questa super rete? E con quali risorse?
È fondamentale un'attività di sistema: operatori telco, enti locali, vendor tecnologici, service provider, governo. Con il broadband aumenta la produttività, è un fatto certo e calcolato. Le stime di Confindustria evidenziano in tal senso come la disponibilità reale di una rete di nuova generazione nel nostro Paese potrebbe avere un impatto pari al 30% sull'incremento del Pil. Trovare i finanziamenti necessari agli investimenti è possibile, pescando a livello di fondi europei o dalla Cassa depositi e prestiti. È quindi necessario un regolatore che gestisca il rapporto fra chi investe nella rete, chi la utilizza, che ne beneficia.

Ultima domanda: le Pmi italiane sono veramente interessate alla banda larga?
La risposta è sì. Sono in primis le aziende ad auspicare la disponibilità di una rete veloce che operi quale piattaforma su cui operare anche in chiave internazionale. Il problema è opposto: la mancanza dell'infrastruttura di base. Un esempio? Molte imprese del triangolo Monza, Vimercate, Lecco non sono ancora raggiunte dall'Adsl.

23 dicembre 2009
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