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E i navigatori cercano una via d'uscita

di Luca Tremolada

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23 marzo 2010

Una scritta al centro di una nuvola arancione recita netizen. A destra e a sinistra una freccia collega Google e un simbolo che rappresenta il governo cinese. Questa immagine accompagna una lettera aperta scritta da alcuni "cittadini" della rete e indirizzata a Google e alle autorità. Il testo tradotto è stato riportato sul blog di Rebecca MacKinnon, cofondatrice di Global Voices. Ma l'immagine dei netizens al vertice di una piramide rappresenta bene lo stato d'animo quantomeno di una parte di coloro che si collegano a internet sul suolo cinese. E forse anticipa quello che succederà all'indomani del ritiro di Google.

Il punto di vista degli autori del documento è di chi si è trovato in mezzo a un braccio di ferro dai contorni poco chiari. Che ha tutto da perdere dal ritiro del motore di ricerca, ma che allo stesso tempo non risparmia critiche al comportamento del colosso di Mountain View. Nella lettera viene infatti denunciata l'oscurità in cui sono stati lasciati i 300 milioni di utenti del web. Ma soprattutto vengono poste alcune domande: Google ha rispettato le leggi di Pechino in tema di pornografia, violenza e gioco d'azzardo? In base a quali criteri il governo ha imposto dei filtri? Come dire, se di censura deve trattarsi almeno che si sappia con trasparenza in base a quale regole è stata effettuata.

Per quanto sia difficile sapere con certezza da chi è stata scritta questa lettera, è chiaro che le domande poste rivelano lo stato d'animo e le reazioni della rete che parla cinese. Qualcuno forse non se ne accorgerà nemmeno. Quel 30% di mercato che Google lascia libero sarà presto occupato dai concorrenti. In lizza Microsoft con Bing ma più probabilmente sarà il colosso locale Baidu a concentrare su di sé ancora di più il business delle ricerche. Tuttavia la notizia solleverà con ancora più forza domande su quanto sapere sia rimasto impigliato nei filtri. Su quali link siano stati vietati ai navigatori. Le conseguenze di queste domande conducono a un vicolo cieco.

Se anche Google, come si legge nella lettera, ha mancato nel non voler fare chiarezza su quanto stava accadendo con il governo cinese, allora la via d'uscita non può che risiedere nella tecnologia. O meglio in quelle tecnologie che neppure i filtri possono bloccare. Programmi come Tor, Pgp o Truecrypt consentono di navigare in modo anonimo, di proteggere la privacy rendendo impossibile intercettare e leggere le mail. Sono tecnologie open source che si trovano liberamente su internet. Oscurare un server non serve a bloccarne la distribuzione. In un certo senso, internet possiede già nel suo Dna, nella sua architettura gli strumenti per tutelarsi. Ma questa è una via occidentale che probabilmente conquisterà solo una piccola parte della popolazione.

In Cina la protesta su internet ha regole diverse. Come dimostra il motore di ricerca di carne umana. Si tratta di un processo di ricerca "manuale" di dati attraverso la rete. «L'utente - racconta Gianluigi Negro, esperto di social network cinesi - ha utilizzato i blog e le reti sociali per porre domande. In forme a volte ambigue in modo da non essere identificati dalle autorità. Con questo strumento su internet sono state pubblicate richieste di informazioni ma soprattutto denunce». In sostanza, un passaparola per chiedere e ricercare informazioni utilizzato dai netizen per denunciare sul web funzionari di stato corrotti. Lo stato in alcuni casi con il montare delle proteste online ha utilizzato questi strumenti per processare e condannare gli accusati. Quali di queste due strade verranno imboccate è presto per dirlo. Forse spunterà una terza via. Né con Google e né con il governo cinese. Come nell'immagine della lettera aperta.

23 marzo 2010
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