Rinascimento nucleare. E intanto la corsa alle rinnovabili. Nel frattempo una poderosa spinta all'efficienza energetica. Proprio mentre si fa largo il mercato liberalizzato nella produzione di energia tradizionale, che nell'Italia di oggi punta tutto sulle centrali a turbogas. Non sarà forse troppo?
Ecco il possibile, anzi probabile, effetto "bolla": l'Italia del perenne squilibrio energetico, super dipendente dalle fonti estere, che piagnucola ogni giorno sull'insufficienza della rete e sulla paura dei black-out, rischia addirittura una super-capacità di generazione. Che nei prossimi anni, se non ben governata, potrebbe mettere in discussione proprio i nostri impegni per un'energia più pulita, meno cara, più equilibrata nei ricorso alle fonti. Meglio tenerne conto, e scegliere fin d'ora una pianificazione energetica un po' più accorta. L'altolà viene dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in un rapporto sugli scenari elettrici post-crisi al 2020 e 2030 che verrà presentato oggi in un convegno.
Lo studio, allestito sui dati ufficiali di importanti istituzioni a controllo pubblico (il Gse, gestore dei sistemi energetici, Terna, il gestore-padrone della grande rete di trasmissione elettrica nazionale, il ministero dello Sviluppo economico, l'Ispra, la Commissione Ue) arriva per la verità a conclusioni un po' sdraiate sull'ideologia della Fondazione, guidata dall'ex ministro verde dell'ambiente Edo Ronchi. Che non gradisce, non è un mistero, il ritorno all'energia nucleare.
Se bolla ci sarà conviene frenare proprio il ritorno all'atomo, conclude infatti il rapporto. Che auspica invece un rafforzamento degli impegni, e anche delle sovvenzioni pubbliche, non solo per l'efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili, ma anche sulla promozione di una fonte non proprio pulitissima, che viene proposta addirittura come alternativa all'atomo: il carbone, da rendere più "verde" con la cattura e sequestro dell'anidride carbonica (CCS). Una tecnologia «innovativa, con grandi potenzialità di sviluppo, con la quale non partiremo in ritardo e alla coda di altri, come per il nucleare» incalza Edo Ronchi.
Il pregio dello studio sta comunque dell'analisi e nella correlazione degli scenari. A prescindere dalle conclusioni sulle scelte che ne possono derivare. Ecco allora che la Fondazione guidata da Ronchi prende le mosse dalla recessione globale dell'ultimo biennio e dalla contrazione congiunturale dei consumi anche elettrici che ne è derivata, legandola a un fattore più strutturale: l'aumento dell'efficienza energetica che comunque limiterà, anche con l'incalzare della ripresa economica, la nuova crescita tendenziale del fabbisogno elettrico.
Due gli scenari ipotizzati al 2020 e 2030. Quello "grigio", che sconta un mancato miglioramento (o addirittura u peggioramento) dell'efficienza elettrica e produce una crescita dei consumi elettrici superiore ai 50 terawattora a decennio, «comunque minore di quella del decennio pre-crisi». Quello blu, «il più probabile dopo la crisi», caratterizzato da un miglioramento dell'efficienza con un incremento dei consumi più che dimezzato e un ritorno ai consumi elettrici pre-crisi (2007) solo nel 2020.
Nel primo scenario sarà davvero arduo – si legge nello studio - il raggiungimento degli obiettivi ambientali di Kyoto, visto che «le emissioni di CO2 al 2020 aumenterebbero dell'1,6% rispetto al 1990 e diminuirebbero solo del 10,3% rispetto al 2005». Nello scenario blu la riduzione della CO2 sarebbe invece più facilmente in linea con le direttive Ue, «con una riduzione di circa il 20% rispetto 2005». Riduzione che arriverebbe al 26% al 2030.
Conclusione: «in entrambi gli scenari fino al 2030 non c'è domanda aggiuntiva per nuove grandi centrali nucleari, la cui entrata in esercizio comporterebbe una chiusura anticipata di centrali termoelettriche convenzionali ancor efficienti e/o la riduzione del sviluppo dello fonti rinnovabili». Questo perché nello scenario grigio la rete elettrica italiana chiederà nel 2020 circa 76 gigawatt di potenza, più o meno quella che già abbiamo dopo la corsa degli ultimi anni alle nuove centrali allestite dai concorrenti dell'Enel. E tenendo conto delle nuove centrali convenzionali per oltre 5 gigawatt che saranno operative già il prossimo anno «anche con qualche dismissione non ci saranno problemi di potenza». Nel 2030? Sempre lo scenario grigio produrrà una richiesta per circa 87,6 giga watt, coperti «completamente» con i progetti definiti e già oggi in fase di autorizzazione.
Lo scenario blu? Ecco la bolla. Perché al 2020 in questo caso - afferma la Fondazione guidata da Ronchi - «servirebbero 70,6 gigawatt, e ne abbiamo già oggi 76», con l'eventualità di accrescere il fabbisogno a 77 GW «solo nel 2030». Di conseguenza, nella «più che probabile» eventualità dello scenario blu «occorrerà rivedere, rinviare o annullare la costruzione di nuove centrali termoelettriche convenzionali già in fase avanzata di autorizzazione, e probabilmente la minor domanda anticiperà la dismissione di alcuni vecchi impianti». Dismissione, altro che costruzione.
DOCUMENTO / I dati storici del consumo di energia
Dossier Nuove Energie