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7 ottobre 2005

Albonetti: l'Italia e la sua vocazione europeista

di Paolo Migliavacca

La politica estera e di sicurezza è il pilastro che sostiene l’attività statuale dell’Italia, nella sua non lunga storia unitaria, ma, soprattutto, in questo dopoguerra, grazie a tre fattori decisivi: i rapporti con gli Stati Uniti e la Nato, l’unità europea e la scelta del libero mercato. Ed è anche il perno intorno al quale ruota e si decide il futuro dell’Europa: senza di essa, l’allargamento indebolisce le prospettive dell’Unione e si ritorna alla «nefasta politica di equilibrio e di potenza». Da cui tutti uscirebbero perdenti.
Achille Albonetti, oggi condirettore di "Affari esteri" ma con un passato di prestigioso grand commis (Consigliere della rappresentanza italiana all’Oece, membro di molte delegazioni che hanno negoziato i Trattati europei degli anni 50, capo di Gabinetto del vice-presidente della Commissione europea, Governatore italiano nella direzione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e poi presidente dell’Unione petrolifera italiana), è autore di numerosi libri, tra cui alcuni fondamentali sulla politica nucleare del nostro Paese, di cui è uno dei maggiori esperti. Ora ha dato alle stampe questo agile testo perchè, come afferma nella sua prefazione Sergio Romano, deluso dall’attuale situazione in cui versano la politica estera italiana ed europea, intende denunciare lo «stato di declino dell’Europa e il declassamento dell’Italia» come il pericolo supremo che corrono entrambe.
Dopo aver conosciuto i benefici di mezzo secolo di straordinario sviluppo economico, l’Italia si è concentrata, con il secondo governo Berlusconi, su una politica di stretta collaborazione con gli Usa, trascurando però la sua tradizionale vocazione europeista, proprio mentre l’Europa evidenziava la contraddizione di un’unione economica che non sa diventare anche politica. Come provano crudamente alcuni recenti rifiuti di ratifica del Trattato costituzionale, anche e soprattutto perché non c’è accordo sulla realizzazione di una politica estera e di difesa comune, mentre l’attuale amministrazione statunitense ne sottolinea con spietatezza i limiti con il suo unilateralismo.
La palese delusione si fa appassionata e puntuale denuncia dei pericoli che corriamo tutti a causa di quella sorta di "mostro" istituzionale che regge il continente, «assai più avanzato, in molti campi, di alcuni Stati federali all'inizio della loro storia, ma monco e incompiuto» nella sua proiezione esterna. Da qui tutta la serie di "furbizie" diplomatiche e miopi sgambetti (che Albonetti ricostruisce con puntigliosa precisione) che i maggiori protagonisti della scena europea - stati e statisti - si giocano l'un l'altro per riaffermare il loro anacronistico ruolo e prestigio. Senz’accorgersi che il vascello comune finora costruito, grandioso e possente in campo economico, fa acqua da ogni parte sul piano esterno perché nessuno vuole realmente dotarlo degli strumenti per navigare in piena sicurezza e rischia, quindi, di affondare ancor prima di aver preso il largo nei mari tempestosi dei nuovi equilibri internazionali che si vanno delineando. Occorre, sostiene l’Autore, che l’Europa si dia i necessari strumenti militari (primo tra tutti un moderno e comune deterrente atomico, ma anche una voce e un seggio solo all’Onu) per tutelare i propri interessi nel mondo, al fianco degli Usa ma in posizione di partner paritario, non subalterno. Chi tra i 25 Paesi è più conscio di questi pericoli, deve farsi carico della situazione, specie il "nucleo duro" dei sei Paesi fondatori. E chi non ci sta, sia lasciato indietro: l’Europa, dichiara con brutale franchezza Albonetti, non può più aspettare chi tentenna o è incerto. Pena veder naufragare quella speranza di unione anche politica che ha animato i Padri fondatori. Tra cui anche lui merita un posto. E non in ultima fila.

Titolo
«L’Italia, la politica estera e l’unita dell’Europa»
Autore
Achille Albonetti,
EditoreEdizioni Lavoro, Roma 2005
Pag.pagg. 215
Euroeuro 12,50



 

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