Trafalgar, storia di una grande battaglia, quella che segnò la sconfitta del sogno napoleonico di conquistare l'Inghilterra, ma anche storia di importanti interessi economici, come il controllo delle merci, e uno dei primi esempi di "finanza creativa".
Si scopre questo in "Trafalgar. La battaglia che fermò Napoleone" il libro scritto per i tipi della Rizzoli da Marco Zatterin, responsabile delle pagine economiche del quotidiano La Stampa, nonché autore di numerosi altri saggi.
" Per pagare le guerre napoleoniche il primo ministro inglese, William Pitt, inventa l'imposta proporzionale sul reddito che sostituisce fra l'altro gabelle assurde come la tassa sulla quantità di finestre di una casa" - spiega a Il Sole 24 Ore Radiocor lo stesso Zatterin - "e che, con la caratteristica di una tantum, resterà fino alla prima guerra mondiale lo strumento principale per il finanziamento di una guerra". E si, perché le guerre – allora come oggi – costavano tanto: “il 75% della spesa pubblica britannica al tempo di Trafalgar era per la Royal Navy”, rivela ancora Zatterin. Una flotta costituita allora da 950 navi ben equipaggiate e tecnologicamente avanzate.
"Senza quella vittoria niente impero vittoriano"
Il grande sogno di Napoleone, quello di assoggettare l'Inghilterra, si infranse per sempre il 21 ottobre del 1805 nelle acque di Capo Trafalgar, tra Cadice e lo Stretto di Gibilterra: nella battaglia navale più famosa di tutti i tempi 27 navi inglesi guidate dall'ammiraglio Horatio Nelson sbaragliarono in meno di sei ore 33 navi franco-spagnole comandate dall'ammiraglio Pierre Charles de Villeneuve decretando l'inizio della fine di Napoleone. Nelson fu ferito mortalmente, ma l'Inghilterra conseguì una vittoria che la mise al riparo da ogni rischio d'invasione e le assicurò il predominio dei mari per oltre un secolo. Senza Nelson l'Inghilterra avrebbe vinto lo stesso? "Probabilmente si", risponde Zatterin. "La flotta inglese era meglio addestrata di quella francese e, soprattutto - prosegue l'autore - era continuamente in mare: i francesi arrivavano invece a Trafalgar da due anni di fonda in porto". Le navi inglesi, inoltre, al contrario di quelle spagnole, erano piccole e veloci, adatte agli stretti spazi della Manica.
“La vittoria di Trafalgar – afferma il giornalista de “La Stampa” - fu anche merito della tecnologia: i francesi, ad esempio, usavano ancora la miccia e sparavano un colpo ogni tre minuti, gli inglesi uno ogni 90 secondi grazie ad un meccanismo di sparo tecnologicamente più avanzato”.
La battaglia di Trafalgar è raccontata con le parole dei protagonisti da un osservatore “che non si schiera né dalla parte dei vinti né da quella dei vincitori”. E, soprattutto, sottolinea l’autore, “è raccontata in ‘chiave italiana’, cosa che nessuno aveva fatto finora”: grazie a un lavoro di ricerca durato cinque anni - che ha portato anche a rispolverare i volumi contabili e i libri paga originali - Zatterin è riuscito a compilare il primo elenco completo degli italiani – circa un migliaio - che parteciparono alla battaglia su entrambi i fronti: liguri e piemontesi sulle navi di Napoleone, livornesi, napoletani e siciliani su quelle comandate dall’ammiraglio inglese.
“Senza la vittoria di Trafalgar - sottolinea il giornalista de La Stampa - non ci sarebbe stato l'impero vittoriano", un impero che avrebbe segnato un'epoca di fondamentale importanza per la storia britannica e mondiale.
Marco Zatterin
Trafalgar
La battaglia che fermò Napoleone
Rizzoli
Pagg. 450, Euro 22,00