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2 novembre 2005

Nico Naldini: «Ci resta la bellezza estetica»

S. Bio.

Oltre che biografo Nico Naldini è cugino di Pier Paolo Pasolini e con il poeta-regista ha condiviso l'infanzia friulana. Nei suoi libri (Come non ci si difende dai ricordi, Mio cugino Pasolini, Cronistoria) affiorano ricordi inediti, filtrati dalla consuetudine familiare, che delineano un complesso ritratto della figura dell'intellettuale (di cui Naldini ha curato anche il voluminoso epistolario). In occasione del trentennale della morte lo abbiamo intervistato.

Lei ha ripercorso, ricomponendolo, l'epistolario di suo cugino. Lungo i suoi scritti corre un fil rouge che porta alla premonizione di una morte violenta...

Questo fil rouge fa parte della vita di qualsiasi persona, specialmente di un personaggio come Pasolini che si esponeva, non aveva la misura della prudenza. Nei suoi viaggi nel mondo, in Africa come in America, si è sempre addentrato in luoghi sconsigliati. Addirittura capitava che venisse riaccompagnato in albergo dalla polizia di quei Paesi, accorsa a proteggerlo. La prima volta che andò negli Stati Uniti, pochi giorni dopo il suo arrivo, era già in un covo delle Pantere Nere americane a discutere. Quel che lo attraeva, come scrittore, erano i lati oscuri e pericolosi della vita. Ma che fosse destinato a essere assassinato, questo no assolutamente. Perché nei giorni che precedettero la sua morte era di una gaiezza straordinaria, stava scrivendo e aveva finito di girare un film e si apprestava a farne un altro. Diceva di sé: «Sarò un vecchietto allegro». È quindi da smentire assolutamente l'idea che inseguisse nella vita il programma di un suo annientamento. È vero esattamente il contrario. Come insegna Picasso, un grande artista ha paura solo di una cosa: che la morte gli impedisca di terminare il lavoro che sta facendo.

Fermo restando il fatto che Pasolini, in termini sociali e culturali, fu anche un preveggente, o se preferisce un precursore dei tempi...

Sì, aveva previsto; anzi aveva descritto sulla base del presente che ben conosceva, l'attualità degli anni '70 ed aveva preannunciato quanto sarebbe accaduto in seguito, ovvero il mutamento della società italiana. Tuttavia non era una cosa così difficile. A Pasolini bastava leggere in proposito le analisi del suo amico poeta Wystan Auden uno dei grandi interpreti del mutamento sociale americano. Nel diagramma del futuro era prevedibile quello che sarebbe accaduto: riassumendolo in una parola il consumismo con tutti i suoi lati negativi.

Tra il Pasolini che lei ha conosciuto e quello del suo epistolario emerge uno scarto?

No, nelle lettere, negli scritti come nei comportamenti o nelle relazioni familiari e amicali si esprimeva la sempre la stessa sensibilità. Pasolini ha scritto una bellissima poesia alla madre Susanna Colussi Supplica a mia madre, in cui la pregava di non morire. Il modo in cui si comportava con lei, come le sorrideva, gli scherzi che le faceva, le ironie che le rivolgeva per la sua timidezza, il suo riprenderla teneramente, quella stessa infinita tenerezza la si ritrova nella sua poesia come nel suo cinema (Susanna Colussi interpretò il ruolo della madre di Cristo nel Vangelo secondo Matteo,ndr).

Parliamo della grande attualità di Pasolini: è dovuta principalmente al suo spirito di preveggente o al suo essere un intellettuale libero?

Non porrei l'accento sulla personalità sociale del polemista apocalittico. Questo fa parte della sua epoca, non va trascurato, ma va adattato. Quel che di lui resta è ben più di una premonizione importante: è la bellezza estetica. Una bellezza estetica che contiene tutti i messaggi morali e culturali, la bellezza di certi film e soprattutto di molte poesie e dei suoi romanzi.

Anche le sue verità più intime e profonde che ha reso universali?

Certamente si, è su queste basi va giudicata l'opera di Pasolini.

Che cosa pensa dell'attenzione dei media intorno al giallo della morte di Pasolini, un'attenzione che forse va a discapito proprio della sua poetica?
Il giallo ebbe inizio un'ora dopo la morte. Suoi amici, alcuni in buona fede, altri meno, hanno proiettato la sua morte violenta in un una serie di avvenimenti di stampo politico di cui Pasolini sarebbe stato vittima. Per me si tratta di una pura teoria che ho sempre avversato. Ci sono stati vari gradi di giudizio e le indagini, che da molti sono state definite incomplete. Non saprei, non sono un criminologo. Conoscevo Pasolini fin dalla mia nascita. Il giorno della sua morte ero a mangiare con lui a mezzogiorno, ho dovuto riconoscere io la sua salma. Penso che un incontro come quello fra lo scrittore e Pelosi potesse risolversi nella maniera in cui si risolse.

Dunque come giudica il ritrattare di Piero Pelosi nell'intervista concessa lo scorso maggio a Raitre ?

Ho visto quell'intervista. È strano che le persone non si pongano un interrogativo sulle parole di Piero Pelosi. Pelosi ha detto che gli assassini erano tre omoni con la barba, che parlavano un dialetto meridionale. A me sembra si tratti di una proiezione infantile nel mondo della paura. Gli amici non hanno accettato la spiegazione data dai tribunali. Credo che non si volesse Pasolini vittima di una situazione così squallida e criticabile. In realtà quella di Pasolini non è né una fine squallida, né criticabile. Comunque la tesi sul complotto mi sento di smentirla, anche se quando mi si dice che le indagini non sono state completate o ci sono punti oscuri, su questo nulla posso dire.



 

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