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3 gennaio 2005

Rischio e sicurezza di Sofsky

di Silvia Giuberti

Chi ha paura della paura? Domanda pertinente, se pure la saggezza popolare – che in un proverbio e poche parole distilla manuali, deduzioni e sillogismi - sentenzia che “il male peggiore è dei mali il timore”.

Dalle aule universitarie di Gottinga, il sociologo Wolfgang Sofsky conferma. La vita è un fragile segmento di libertà punteggiato da un inesauribile elenco di rischi e pericoli che – tra casualità, statistiche, verosimiglianza o beffa - rappresentano al tempo stesso motore e ostacolo dell’agire umano. «E’ da quando popolano la terra che gli uomini sono alle prese con il problema di mettersi al sicuro» riassume Sofsky in un insolito Post scriptum al suo saggio “Rischio e sicurezza”, che ha in realtà spirito e contenuti di uno spunto introduttivo. La paura, infatti, è uno dei più potenti impulsi nella storia della specie umana, la cui consapevolezza aumenta nei periodi di pericolo – che “incombe”- o di catastrofe –che “irrompe”-. Eppure, nonostante la millenaria familiarità con ansia e timore, “non è affatto aumentata la capacità della gente di sopportare le insicurezze, di esporsi ai rischi e di fronteggiare i nuovi pericoli senza illusioni”. E il rischio dei rischi, il pericolo più totalizzante e senza ritorno – cui non a caso punta oggi la guerra del Terrore- è che libertà e intraprendenza –scommesse senza azzardo sull’ignoto- rappresentino la scoria tossica del processo apparentemente asettico della Sicurezza.
In dodici capitoli documentati e incalzanti – non privi, a tratti, di qualche effetto enfatico o banalizzante che, pure, nulla sottrae all’amara verità dell’enunciato - la storia della civiltà occidentale appare in chiarezza nel suo alchemico, talvolta subdolo conflitto tra il nemico esterno e l’avversario schierato e allignato in ognuno di noi.
Dal terremoto di Lisbona nel 1755 all’11 settembre – una sorta di data catastrofica per antonomasia - la catastrofe repentina, cui nessun processo di adattamento può fare fronte, rappresenta da sempre la più palese, impietosa e crudelmente variegata dichiarazione dei limiti del potere umano. Devastante per numero di vittime, ma ancor più per le ferite inferte all’illusoria fiducia nella successione degli eventi, può rendere gli uomini più accorti, ma – precisa Sofsky - non migliori. “Il baluardo della normalità è difficile da scuotere” e il capitolo successivo – del libro e della storia - procede, dunque, tra le puntuali definizioni di rischi, pericoli e azzardi nella quotidiana imprevedibilità. E se in un mondo dominato da forze superiori, l’espiazione di una colpa all’interno di una comunità poteva ripristinare l’ordine e placare il cielo, nel disincantato mondo contemporaneo “il destino passa ormai per una creazione della specie umana”. La paura siamo noi: tra caccia ai responsabili di mancata prevenzione, allarmismi o autoinganni di scienza e media, rischi per noia o per bizzarra fiducia (medici che non si sottopongono agli esami consigliati ai pazienti, fumatori incalliti che temono di volare in aereo) la sicurezza ha il volto ambiguo della volontà umana.
L’analisi dell’autore passa, dunque, in rassegna verità e adattamenti: se il coraggio, talvolta tacciato di follia o temerarietà, è la più credibile e dinamica opposizione alle insidie del destino, l’imperativo della sicurezza e la cultura dell’apprensione rischiano di trasformarsi nelle prigioni di diffidenza ed apatia. Si tratti delle distanze fisiche e psicologiche del “dramma del rapporto sociale”, dove l’estraneità è la norma e la conoscenza a prova di imponderabilità è l’eccezione; del sistema assicurativo - definito in origine contratto sulla fortuna- che si nutre con profitto del pessimismo collettivo; del capitalismo, processo di “distruzione creativa”, nella competizione sempre più affannata e ristretta; degli istituti finanziari, per cui il rischio del cliente che deposita è “l’occasione che la banca deve sfruttare”; o dello Stato che, analizzato nella sua nascita ed evoluzione, ha forse già oltrepassato - tra interventismo, promesse non mantenute e tutt’altro che disinteressata “retorica della solidarietà e della giustizia”- il periodo della sua maggiore fioritura.
La libertà, dunque, è paradossalmente dipendente. Creando insicurezza - in quanto condizione e prova di crimini e virtù - subisce regole e controlli della pianificata lotta contro il pericolo. All’uomo libero e intraprendente subentra l’uomo difeso ed affidabile. Una sorta di nuova specie umana nell’ipotetico ma attuale scenario del Terrore totale. Che colpisce ristoranti e supermercati, cinema e teatri, piazze e mete di vacanza: non simboli di benessere o corruzione dello spirito per una guerra dalle false motivazioni religiose o economiche, ma luoghi della libertà per un conflitto autoreferenziale che “vive di odio, di risentimenti e del trionfo degli eccessi”. E mentre il kamikaze proclama la sua lugubre e invincibile libertà morendo, la vita della società – se stretta nelle maglie di una paura infeltrita e senza filtri- è destinata a paralisi, sorveglianza, sospetto. Ogni individuo potrebbe essere identificato attraverso carte biometriche, dotate di fotografia, impronte digitali, possibilità di riconoscimento dell’iride, dati sanitari e numero d’identità. Carte intelligenti in grado di trasmettere un segnale a satelliti e antenne. Per essere sempre rintracciabili. Smarrendo se stessi.

“Rischio e sicurezza”
di Wolfgang Sofsky
Einaudi, pagg. 173,
euro 8,00



 

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