La malattia come metafora dell’imprevisto, della sorpresa, di una crisi che travolge – inattesa e inesorabile – l’esistenza delle persone, costringendole non solo a mettere in discussione se stesse, il proprio passato e l’immagine che hanno di sé, ma anche a trovare un nuovo posto nel mondo.
È quanto accade a Paul Bannerman e ai suoi familiari, protagonisti dell’ultimo romanzo della sudafricana Nadine Gordimer, Sveglia!, in uscita in questi giorni per Feltrinelli.
Bianco, 35 anni, ecologista, appartenente alla borghesia liberale, sposato e con un figlio di tre anni, Paul si trova ad affrontare una malattia che lo porterà a interrogarsi sulla propria vita, ma anche sulla situazione del proprio Paese, e da cui uscirà totalmente trasformato, così come le persone che gli stanno vicino.
In seguito alle cure contro il cancro alla tiroide che lo sta divorando, Paul è diventato temporaneamente radioattivo (“Raggiante. Letteralmente raggiante”, scrive l’autrice) ed è costretto a trascorrere un periodo in isolamento per non contaminare i suoi famigliari, la bella e giovane moglie, Berenice (detta Benni), copywriter di successo in un’importante agenzia di pubblicità internazionale, e il piccolo Nicholas.
Ad assumersi il rischio della contaminazione sono i genitori di lui, i sessantenni Lyndsay, brillante avvocato per i diritti civili, e Adrian, uomo d’affari vicino alla pensione che ha sacrificato le proprie passioni (musica classica e archeologia) per favorire la carriera della moglie. Paul trascorrerà il periodo di isolamento nel giardino della loro casa, in cui era cresciuto da bambino, una sorta di Eden dove ritroverà l’innocenza, ma da cui uscirà, come Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre, dopo un percorso di conoscenza che lo avrà portato a comprendere ciò che normalmente, nella vita di tutti i giorni, rimane nascosto o ignoto. Tornato a casa e al suo lavoro, in una fondazione che si occupa di conservazione e controllo ambientale in Sudafrica, Paul non sarà più lo stesso.
E questa trasformazione non riguarda solo lui. Gli effetti della sua malattia si riverberano, mettendoli in crisi, anche sul suo matrimonio e soprattutto su quello dei suoi genitori. Ma mentre Paul e Berenice alla fine supereranno le difficoltà, Lindsay e Adrian finiranno per lasciarsi: lui per coronare il suo sogno, dedicarsi all’archeologia, trasferendosi in Norvegia con una giovane donna, lei adottando una bimba nera affetta dal virus dell’Hiv.
Il libro è denso di metafore e parallelismi: pubblico e privato si intrecciano indissolubilmente, secondo l’uso caro all’82enne Nadine Gordimer, premio Nobel per la letteratura nel 1991, una vita spesa a lottare contro l’apartheid nel suo Paese.
Proprio all’apartheid rimanda la “quarantena” che Paul deve scontare nel giardino dei suoi genitori. Così come la sua condizione di “contaminato” rimanda ai rischi ambientali cui va incontro il Sudafrica (come del resto tutto il mondo) nel nome della scienza e del progresso. Dopo l’incubo del razzismo, il Paese deve ora affrontare quello del nucleare, della deforestazione, delle grandi opere dall’impatto imprevedibile sulla natura. Allo stesso modo, le radiazioni emanate da Paul sono reali ma anche metaforiche, nel senso che è grazie a tali radiazioni che le vite di chi gli sta vicino vengono per così dire illuminate, comprese fino in fondo e messe in discussione. La malattia scoperchia inimmaginabili vasi di Pandora: Paul si accorge che la moglie ha due facce, la “Benni” che ha sposato e Berenice, la professionista fredda ed efficiente che tira dritto per conto suo anche durante la malattia del marito. Lyndsay e Adrian, apparentemente una coppia solida e felice, si rendono conto di aver vissuto nella menzogna per anni, lui avendo abdicato ai propri sogni, lei avendo tradito il marito con una relazione extra-coniugale durata quattro anni, molto tempo prima.
Eppure, il messaggio finale è di speranza. La certezza che è possibile risollevarsi e rinascere dopo una crisi profonda, rimettersi in discussione e reinventare se stessi, cominciando una nuova vita, a qualunque età.
Il tutto è narrato con uno stile particolarissimo, intenso e complesso. La sobrietà ed essenzialità, caratteristiche di Nadine Gordimer, sono portate qui alle estreme conseguenze, mediante l’uso di una grammatica scarna e di frasi ellittiche, talvolta di difficile comprensione. L’autrice passa da un punto di vista a un altro senza soluzione di continuità, alternando le voci e i pensieri senza fornire al lettore l’ausilio della punteggiatura tradizionale.
Nadine Gordimer, Sveglia!
Feltrinelli, 176 pagg., 16 eur