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2 marzo 2006

Vernant, ovvero come spiegare il mito in 4 mosse

di Stefano Biolchini

Raccontare la mitologia greca è cosa non da poco; affrontare Ulisse , l'eroe per eccellenza, è da sempre impresa ciclopica. Se a tutto ciò aggiungasi l'intento di rivolgersi al grande pubblico con un linguaggio semplice e immediato, la sfida rischia di apparire al limite del possibile. Niente di tutto ciò per Jean-Pierre Vernant, lo studioso del mito e della cultura greca che da anni affronta questa sfida titanica con la levità e la competenza che fanno di lui uno dei massimi esperti del settore, oltre che dei più affascinanti narratori del mito greco. Vernant, forte di un registro già ampiamente collaudato, spiega eroi e miti come un nonno al nipotino, facendo riemergere dalla profondità del tempo - e rendendole a noi vicinissime - le meravigliose storie dell'antica Grecia.

Jean-Pierre Vernant (© Louis Monier)
«C'era una volta Ulisse, che è un eroe ma non ha nessuna voglia di partire per la guerra. Per non lasciare la sua Itaca si finge pazzo e cammina all'indietro davanti a un aratro trainato da un asino e da un bue, seminando sassolini come fossero semi. C'era una volta una bellissima maga, metà donna e metà dea, che con i suoi incantesimi ora imprigiona le sue vittime in corpi bestiali, ora le rende più belle o addirittura immortali come gli dèi. C'era una volta un gigante carnivoro che aveva un solo occhio in mezzo alla fronte, e un dio dei venti che viveva solitario su un'isola fluttuante. C'era una volta il giovane Perseo, che con i suoi calzari alati e il suo elmetto di pelle di cane parte alla ricerca della testa di Medusa e nel viaggio incontra mostri terribili con un solo occhio e un solo dente. C'erano poi grandi cavalli di legno e destrieri alati, fanciulle bellissime e streghe paurose, donne alte come torri e pescatori reali, mangiatori di loto e sirene metà donna e metà uccello. E c'erano soprattutto straordinari viaggi in mari pericolosi e sconosciuti, verso mondi lontani che «non stanno da nessuna parte». Un nessun luogo che la nostra memoria nasconde gelosamente fin dai tempi del ginnasio e dell'infanzia, e che lo studioso francese sa far affiorare con la delicatezza con cui un giardiniere curerebbe il proprio roseto. Non una storia, ma un universo di storie che in qualche modo appartengono al passato di ognuno di noi e che solo la fretta quotidiana rende troppo lontane.
«Arriva Polifemo, enorme, una montagna umana, con un solo occhio in mezzo alla fronte, non due occhi come tu e io, no, un occhio solo, proprio al centro della fronte. Se ne sta là, fa rientrare le sue greggi, munge le pecore, dà da mangiare agli agnelli, i Greci neppure li vede perché sono piccolissimi, si sono rintanati in fondo alla grotta e battono i denti per la paura davanti a quel colosso. A un certo punto, il Ciclope getta un occhio e vede quei tipi. Dice loro: - Ma chi siete?
Ulisse, naturalmente, gli racconta una delle sue solite storie, gli risponde:- Siamo Greci, eravamo alla Guerra di Troia. - E la vostra nave? - Non ce l'abbiamo più, - risponde Ulisse, - la tempesta l'ha distrutta, veniamo qui supplicando, invocando Zeus di pregarti perché tu ci accordi ospitalità.
- E io vi darò ospitalità, - gli risponde il Ciclope, - sto per darvi ospitalità nel mio pancione, proprio in fondo al mio ventre».

L'intento divulgativo è centrato. Resta invece da capire perché l'autore abbia ceduto con i suoi «Come quando e perché ?» ad un surplus che se la polemica di questi giorni non fosse montata, sarei stato tentato di scrivere (e scrivo, si parva licet) ridondante quasi quanto l'operazione Iliade di Baricco!

Jean-Pierre Vernant, C'era una volta Ulisse

Einaudi, 80 pagine, 8,50 euro.



 

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