Nome e cognome italiani, come il titolo del libro, per un autore francese fino al midollo.
Quarantadue anni, figlio di immigrati italiani, cresciuto nella provincia francese, Tonino Benacquista è considerato uno dei più brillanti scrittori francesi contemporanei. Esce dalla stessa covata che ha dato alle lettere francesi Daniel Pennac, Daniel Picouly, Patrick Raynal: devoti adepti del noir in tutte le sue declinazioni, con un sottofondo umoristico però molto marcato. Come d’abitudine Benacquista ha fatto un po' tutti i lavori: pizzaiolo, inserviente sui vagoni letto, guardiano museale, prima di esordire a metà degli anni Ottanta nel genere poliziesco, riscuotendo subito grande successo e vincendo numerosi premi. Nel nostro Paese è arrivato alla fine degli anni Novanta con Saga (1998), a cui sono seguiti Qualcun altro e L’uomo che dormiva troppo (2001, 2003). Una produzione centellinata e preziosa, di cui questo “Malavita”, forse costituisce l’apice.
Cosa succede quando in una tranquilla e un po' sperduta cittadina della Normandia arriva una famiglia di americani, i Blake? Inizialmente non riusciamo a capire quale sia il motivo per cui stanno da tanto tempo (anni) lontani dalla patria. Siamo portati a pensare che sia una questione di lavoro e quindi ci prepariamo a leggere la solita storia di un gruppo di americani che si trova a fare i conti con lo stile di vita europeo, con le probabili difficoltà e incompatibilità tra le due culture. I Blake sono in quattro, più un cane (che si chiama, per l’appunto Malavita, ma, come vedremo poi, il nome non è casuale): un marito e una moglie entrambi quarantenni, una figlia e un figlio, entrambi liceali. Dopo un po' di tempo passato a cercare di acclimatarsi nella nuova casa (il cane Malavita trova subito un posto in cantina) i Blake iniziano a entrare nella vita della cittadina: i due ragazzi vanno a scuola, la mamma a fare compere. E il papà? Il papà resta a casa, con la raccomandazione della moglie di non restare tutto il tempo in vestaglia per non insospettire i vicini.
Insospettire? E di cosa? È qui che la trama gialla, per quanto blanda, inizia a farsi strada. Il signor Blake scopre tuttavia una vecchia macchina da scrivere tra le cianfrusaglie abbandonate nella casa dalla famiglia precedente: la pulisce, la rimette a posto e, affascinato dal mezzo, inizia a scrivere. Prima solo a battere sui tasti, poi, poco a poco, a scrivere la sua storia. E da qui in poi la conosceremo anche noi. Lui poi dirà in giro di essere uno scrittore che sta lavorando a un libro sullo storico sbarco. Ma la famiglia Blake non è una famiglia come tutte le altre. Non tiriamola più lunga: il signor Blake si chiama in realtà Giovanni Manzoni, è un mafioso e per di più un mafioso collaboratore di giustizia. Non pentito, no. Manzoni, americano di evidente origine italiana è un mafioso convinto, fino ai cromosomi: uno che della mafia ha fatto una teoria, una storia di vita, una disciplina. Ha tradito ed ha denunciato il “Padrino”, il capo supremo, ma solo perché ha dovuto farlo. Era senza alternative, messo alle strette dal Fbi e da Tom Quintiliani, il poliziotto che gli ha stretto la tela del ragno attorno e che ora si occupa della sua protezione, del suo cambio di identità e della sua latitanza “dorata” in Francia, a spese dello stato americano. Ma non è solo per Giovanni Manzoni che la mafia è una parola dorata: tutta la sua famiglia vive e respira mafia! Il figlio vuole riprendere il cammino da dove si è fermato il padre e diventare il più famoso mafioso dei tempi moderni e le due donne non sono seconde a nessuno: pronte a bruciare un supermarket per vendicarsi del direttore che l’ha irrisa perché cercava burro d’arachidi, la mamma. O a spaccare la faccia con una racchetta da tennis a due ragazzi che cercavano di abbordarla, la figlia. Eh sì, la caratteristica principale dei Manzoni/Blake è che la loro “mafiosità” torna sempre a galla. E così se una fabbrica inquina l’acqua potabile, il padre non ci mette che un attimo a farla saltare per aria. Il figlio intanto “tiranneggia” i compagni di scuola, distribuendo favori con un concetto tutto suo personale della giustizia e, per l’appunto, mafioso. Ogni piccolo contrattempo potrebbe bastare a far saltare la maschera di rispettibilità che l’Fbi cerca di cucire attorno alla famiglia. E il tutto procede in tono spassoso, fino a quando Benacquista, con un colpo di teatro preparato con grande maestria, organizza il finale pirotecnico, quando, tramite un giornalino scolastico che in modo rocambolesco fa il giro del mondo, il Padrino in carcere riesce a scoprire dove si nasconde il mafioso che l’ha tradito. Scontro finale alla Ok Corral e alla fine ... vincono i buoni. Già, ma chi sono i buoni?
Tonino Benacquista regge benissimo la storia con una scrittura matura e divertita, con paradossi che possono rimandare tanto ai film di Quentin Tarantino, quanto alla saga di Malaussenne: i dialoghi sono sempre di alto livello, condotti sul filo di un umorismo con punte irresistibili e sempre affondando i denti nella carne per strapparne il paradosso. Insomma: una miscela esplosiva per un libro da consigliare a tutti. Che potrebbe benissimo diventare un film, ma che proprio come pagina scritta dà il meglio di sé, raccontando storie separate, mai gratuite e sempre tese a confluire con sapienza nel grande affresco finale che ci sta preparando. Si ride. E si medita.
Tonino Benacquista
“Malavita”
Pag. 233 - Euro 13,00
Ponte alle grazie - 2006