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16 giugno 2006

Manchette e il caso N’Gustro: da lì in poi il noir

di Giorgio Maimone


Jean-Patrick Manchette è indiscutibilmente un genio del romanzo noir.

Con lui, la Francia ha dato il via a tutta una nuova generazione di autori che, nel giro di un ventennio, ha rivoluzionato il mondo del “polar” francese, che, peraltro, ha sempre avuto lunga storia e goduto di ottima salute. I nuovi scrittori noir francesi (Jean-Claude Izzo, Patrick Raynal, Didier Daeninckx, Jean-Bernard Pouy, René Fregni, Tonino Benacquista, Daniel Picouly e, procedendo per li rami Daniel Pennac, fino al “nostro” Cesare Battisti) e Manchette che ne è stato un po’ il caposcuola si contraddistinguono per la crudezza delle trame, per la violenza che si dispiega nelle pagine, ma anche per quel tocco di ironia e di tenerezza che non li abbandona mai. Un buon “polar” (parola che contraddistingue sia i libri che i film di ambientazione “policier”) ti può agghiacciare per l’efferatezza della trama e, qualche pagina dopo, farti sorridere o farti partecipare a un’intensa storia d’amore. Manchette, che è nato appena qualche anno prima dei suoi colleghi (1942 contro il ’44 di Pennac, il ’45 di Izzo e il ’46 di Raynal) ha soprattutto iniziato a scrivere prima degli altri co-equipier, visto che i suoi primi scritti risalgono al 1965, quando aveva 23 anni e, in questo modo ha svolto un po’ il ruolo di apripista nel ridefinire i confini del genere. Un genere che presenta due caratteristiche fondamentali: in primo luogo gli scrittori si richiamano più a Dashiell Hammett che a Raymond Chandler, in secondo luogo (ma il fatto non è irrilevante) hanno tutti una predominante formazione politica di sinistra. Il noir francese nasce quindi (anzi ri-nasce) come romanzo di ribellione e di lotta, anche politica. Non a caso abbiamo citato prima Cesare Battisti, italiano, ma “nato romanziere” in Francia e possiamo aggiungere anche Massimo Carlotto che, nella sua vita da fuggiasco, ha a lungo soggiornato a Parigi. Insomma, il noir come conseguenza del sessantotto e immediati dintorni. Poco dopo il ’68, ma nel pieno della stagione del maggio, esce il primo noir di Manchette: “L'Affaire N'Gustro” - 1971. Per uno di quegli strani misteri della distribuzione editoriale “Il caso N’Gustro” arriva da noi, tradotto in italiano da Luigi Bernardi per Einaudi solo nel 2006, quando in Italia sono già stati pubblicati, con successo, altri sette libri di Manchette. Ed è un peccato che si sia dovuto attendere 35 anni per leggerlo, perché il libro è di notevole valore. Se il termine capolavoro bisognerebbe proibirlo per legge, resta il fatto che “Il caso N’Gustro” è un libro scritto con mano sicura, con sapienza letteraria e con quello che si può definire come una “dissipazione” di vero talento. Manchette esagera e deborda, vuole stupirci, sa che può farlo e tenta il virtuosismo. Gli riesce quasi sempre. Ogni tanto resta impicciato e col cerino in mano. Per svolgere appieno un personaggio tanto forte avrebbe forse avuto bisogno di più spazio rispetto alle 184 pagine che infine si è concesso. Il personaggio è Henri Butron, delinquente di mezza tacca, ma disadattato di grossa taglia: un’infanzia borghese, ma una giovinezza turbata dalle prime ribellioni: furti d’auto senza patente, furti in casa, risse per futili motivi e pallide esperienze di militanza politica con l’estrema destra francese. Siamo negli anni ’60, nella provincia francese, a Rouen, più o meno negli anni in cui Parigi viene turbata dal caso Ben Barka, il capo dell'opposizione marocchina rapito a Parigi agli Champs-Elysées, torturato e ucciso in circostanze ancora avvolte nel mistero. Dopo un periodo poco soddisfacente sotto le armi, per sottrarsi a una condanna, Butron torna incattivito nell’animo e ulteriormente incarognito. Incapace di qualsiasi slancio umano, l’unica cosa che riscuote (parzialmente) il suo interesse, sono le “passerine”, ossia le donne, il cui unico scopo resta però il letto. Per una serie di circostanze femminili, viene a contatto con gli ambienti intellettuali della sinistra francese, poi con militanti dell’esercito di liberazione di un immaginario stato africano. Coinvolto nel traffico d’armi, si conquista la fiducia del leader africano N’Gustro, ma rimane stritolato nel meccanismo messo in piedi dai servizi segreti dello stato africano da cui viene N’Gustro e dai maneggi della destra e dei servizi deviati francesi. Trova la morte. Esattamente con N’Gustro, il leader africano che lui avrebbe dovuto proteggere. Il colpo di genio sta che la morte di Butron sta nelle prime pagine del libro. Il resto è ricostruzione, come lo stesso Henri Butron l’ha registrata su un nastro, intervallato dalle reazioni dei militari africani che ascoltano il nastro, dopo aver liquidato Butron, per loro solo un “utile idiota”. Tra la morte di Butron e quella di N’Gustro passa l’intero libro, ma il leader africano, che scopriremo poi era ancora vivo, ma tenuto prigioniero, non compare mai per tutto il libro, se non nei ricordi registrati sul nastro. Magistrale lo svolgimento della trama, cinematografica la costruzione delle scene, scintillante il dialogo, il romanzo di Manchette non si pone in alcun modo come apologo morale: le persone e le azioni vengono semplicemente esposte, corredate da qualche cinica dichiarazione di principio di Butron, l’unico che parli in prima persona. Non è una graduale discesa agli inferi, non vi è nessun riscatto: i cattivi sono proprio cattivi e su chi siano i buoni il giudizio può tranquillamente essere sospeso. Resta uno dei più belli noir che si possano leggere, intessuto di note jazz, anzi, scritto quasi con ritmo e passione jazz (Manchette era appassionato e studioso di jazz, come peraltro curioso di fumetti e di cinema) nei controtempi, nei temi improvvisativi che partono all’impronta, ma in realtà sempre sapientemente preparati. Si diceva prima del linguaggio cinematografico: ebbene, se Manchette è stato molto saccheggiato dal cinema (ben sei dei suoi 10 romanzi gialli sono diventati film), questi film non sono mai riusciti a rendere merito all’arte dell’autore. Quasi a confermare il valore prettamente letterario del linguaggio anche quando sembra che questo si faccia immagine. Resta “Il caso N’Gustro”, 184 pagine da divorare.

Jean-Patrick Manchette
“Il caso N’Gustro”
pag. 184 - euro 11,50
finito di stampare nel maggio 2006
Einaudi



 

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