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Cornell Woolrich e il blues triste di un uomo solo

di Giorgio Maimone

Cornell Woolrich, "New York Blues"
Si intitola “New York Blues” ed è il volume che, in occasione dei cent’anni della nascita, il suo biografo, Francis M. Nevins ha messo insieme setacciando le riviste pulp degli anni ’40, per celebrare uno dei più grandi scrittori di gialli e noir: Cornell George Hopley-Woolrich. «La scrittura di Cornell Woolrich è lacerante come un urlo nella notte» ha scritto Dorothy Salisbury Davis nel suo “Grand Master of the Mystery Writers of America”. In questi racconti, agili e svelti, mai destinati a protrarsi per un numero di pagine superiore, seppur di una, allo stretto indispensabile, la definizione è calzante e assoluta. Sia perché la notte è il momento della giornata preferita da Woolrich nei suoi racconti, sia perché gli incubi intessuti sulle sue pagine, ricche di corse affannose, di scadenze improrogabili, di coincidenze assassine, si svolgono prevalentemente di notte, come nel più classico dei suoi romanzi, quel “Si parte alle sei”, scritto sotto lo pseudonimo di William Irish, dove tutto si svolge nell’arco di cinque concitatissime ore in una notte a New York dove più dell’assassino è la città a far paura. E’ appena un caso notare che, tempi tecnici, di traduzione o forse di convinzione nello stampare l’opera, fanno uscire questo volume, per i tipi di Feltrinelli a metà del 2006 (ed è solo il primo di una serie di due volumi), quando il centesimo anniversario della nascita di Woolrich è stato nel 2003 (e il libro originale è uscito nel 2004 in America)! Errore veniale: il libro è molto bello e merita attenzione, indipendentemente dal ritardo editoriale. Si tratta di quattordici racconti editi su riviste pulp (“Detective Fiction Weekly”, “Pocket Detective”, “Argosy”, “Dime Detective”, “Black Mask”, “Baffling Detective Stories”). I primi tredici furono pubblicati tra il 1936 e il 1943. Il quattordicesimo, New York Blues, che dà il titolo al primo volume, è invece uscito postumo nel 1970 sulla “Ellery Queen’s Mystery Magazine” ed è stato probabilmente l’ultimo dei suoi racconti. “New York Blues” è introdotto da un saggio di Goffredo Fofi che serve a inquadrare la figura di Woolrich e la sua opera, essenziale in quanto poche volte come in questo caso, la seconda dipende dalla prima. Ossia l’opera di Woolrich, con questi tratti drammatici e questi disegni di umanità disperate, risente moltissimo della biografia dello scrittore: omosessuale represso, visse per tutta la vita in stanze d’hotel assieme alla madre (separata dal padre fin da quando lo scrittore era adolescente). Alla morte della madre Woolrich iniziò a lasciarsi morire a sua volta: alcolizzato, depresso, diabetico, amputato ad una gamba, le sopravvisse 11 anni, ma perdendo gradualmente la voglia di scrivere. Tutta la sua attività artistica si concentra in 20 anni, tra i primi anni ’30 e il 1950. Da lì in poi scrisse solo tre libri, rimasticò alcuni racconti (male, arrivando fino al punto di “plagiare” se stesso) e lasciò incompiuto un romanzo, terminato da Lawrence Block nel 1989, ma non in grado di rinverdire la sua fama. Restano i suoi capolavori: “Ho sposato un’ombra” e “Vertigine senza fine”, firmati William Irish, e poi la “serie nera” che influenzò il “roman noir” francese e, molto, il cinema: “Sipario Nero”, “La sposa era in nero”, “L’angelo nero”, “L’alibi nero” e, soprattutto, “Appuntamenti in nero”, che forse resta il suo apice creativo. I racconti di New York Blues, pur nella loro brevità, rappresentano delle piccole perle del genere. Non perfetti, anzi, a volte sgangherati e con una trama che non reggerebbe a un serio esame logico, come fa notare Fofi, ma ricchi di un pathos e di una carica di umana pietà che li rivalutano agli occhi del lettore. Impossibile interrompere la lettura a metà di un racconto. L’ansia di non sapere come va a finire non ci abbandonerebbe e il ritmo, il ritmo quasi jazz della sua scrittura affrettata e accelerata, risentirebbe troppo di una brusca interruzione. Si interrompe la lettura, quasi con lo stesso dolore con cui si accettava la fine della facciata A di un vinile. Ci si alza e si rimette il disco sul piatto dalla facciata B: un nuovo racconto noir è pronto per colarci addosso.



 

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