Il made in Italy è stato spesso raffigurato come il motore economico del nostro paese.
Un motore con una “Marcia in più”, come titola il libro che Mauro Castelli (Il Sole 24 Ore, prefazione di Ferruccio De Bortoli, 352 pagine, 24 euro) dedica ad alcuni protagonisti e, così recita il sottotitolo, ai “conti che tornano del made in Italy”. Conti che il più delle volte quadrano per la capacità e la caparbietà di generazioni di imprenditori appassionati, individualità forti e concrete (più che di soldi, parlano di quattrini), maestri d’impresa dotati, appunto, di una marcia in più. Senza retorica ed evitando i luoghi comuni (facile caderci quando si parla di made in Italy), ogni capitolo racconta una vicenda umana e imprenditoriale unica, che si fa quasi romanzo, ma che (per fortuna) è vera e tangibile, percorrendo tutto il paese, dalla Sicilia al Trentino. Molti nomi si identificano spesso con un’idea e un prodotto “cult” (ditte di famiglia sono..): Carlo Pellegrino, marsala di Sicilia, Alberto Bauli, “quello del pandoro”, Binda l’orologiaio, i Branca che dal 1845 fanno il fernet (ma non solo), Mario Galbusera e i suoi dolci, Meliconi l’inventore del salvatelecomando (meglio noto come “guscio meliconi”), Cesare Ragazzi che ha donato una speranza ai calvi, Giovanni Recordati dell’omonima azienda farmaceutica. E, ancora, personaggi che conducono aziende che possono vantare grande tradizione e, non di rado, leadership impensate a livello mondiale: Alfonso Casale (stampaggio rotazionale di vasi in plastica), Attilio D’Ippolito, presidente di Italian Leather Group, lavorazione delle pelli per sellerie d’auto e non solo, Marino e Stefano Golinelli della farmaceutica Alfa Wassermann (chi non mai preso una neoborocillina?), Giuseppe Margaritelli, creatore di un gruppo nel legno che esporta il tutto il mondo, Vittorio Ghisolfi, del Gruppo Mossi&Ghisolfi, azienda leader nella produzione di granuli di Pet, polietilene tereflato. Non mancano imprenditori della nuova economia e del terziario, come Luca Sergio Andreoli (Sermetra, leader nel mondo dei servizi per i trasporti), Marco Cattaneo di MomoDesign, design di prodotto, Graziano e Paolo Fiorelli della Mail Boxes Etc., Pietro Suni con la sua Gitiesse, che fa sistemi per far funzionare tutte le comunicazioni interne di una nave. L’elenco è ancora lungo, per questo romanzo dell’azienda di famiglia, impregnato di valori comuni, di attaccamento alle radici e alle tradizioni, e nello stesso tempo di una forte capacità di guardare avanti e di innovare. Aziende fondate sulla famiglia, il più delle volte il testimone passa dal fondatore ai figli, ai figli dei figli, magari ai nipoti, sempre nel segno della discrezione e della non ostentazione, gente che “è meglio vedere il bel tempo anche quando fuori piove”, e il lavoro smorza le preoccupazioni derivanti dagli immancabili lacci&lacciuoli che il nostro paese riserva alle piccole e medie imprese, dalla concorrenza internazionale sempre più presente e agguerrita (eppure molti di loro parlano della Cina come di un’opportunità, altro che minaccia), dalla crisi economica. Oltre che fotografare una selezione della selezione di società che hanno contribuito a fare del made in Italy un marchio prestigioso, molte delle frasi pronunciate dagli imprenditori potrebbero a buon diritto entrare nei tomi di management in un capitolo dedicato alle linee guida per lo sviluppo: “Se si guarda unicamente agli utili, un’azienda non cresce sana” (Mario Galbusera, 81 anni), “Non voglio trovarmi costretto a prendere decisioni affrettate” (Vittorio Ghisolfi, 76 anni, a chi gli chiede perché non usa il telefonino), “I numeri possono misurare i successi, non le idee” (Stefano Golinelli), “In fondo siamo condannati a inventare prodotti” (Loris Meliconi, 76 anni), “Amo il giardinaggio: mi fa risparmiare la quota della palestra, pago meno il giardiniere e in più mi rilasso” (Giuseppe Marasti, 60 anni, Cogima, argenteria), “Sono un artigiano del vino che ha saputo fare qualità” (Vittorio Moretti, 65 anni, azienda vinicola Bellavista in Franciacorta). A proposito, la qualità. Non l’abbiamo dimenticata, semplicemente è intrinseca alle aziende del made in Italy. Le pagine di Castelli, dalla prima all’ultima, ne sono una testimonianza.