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Libri / Cantami o diva le imprese della tigre dell'Ogliastra |
Di certo non è un giallo. Molto difficilmente possiamo considerarlo un noir. Quindi non avremmo molti elementi per recensirlo in questa rubrica. Se non fosse che, comunque sia, narra la storia di un bandito, quasi leggendario, lo scrittore è un giallista di chiara fama come Marcello Fois e infine, terzo motivo, ma vincente, il libro è di trasparente bellezza.
“Memoria del vuoto” di Marcello Fois racconta le vicende, immaginarie e ammantate di mitologia, di Samuele Stocchino, soprannominato la “Tigre dell’Ogliastra”, una delle figure di spicco del banditismo sardo, anche se mascherato, nella finzione ricreata dall’autore, sotto una seconda “c” che lo differenzia dal personaggio storico (Samuele Stochino con una sola “c” è il vero bandito). Fois prende lo spunto da un personaggio vero, da una zona remota e interna della Sardegna, quella di boschi e di pastori, di strade a piedi e di miserie, di riti antichi e tradizioni, per imbastirvi sopra la propria “Macondo” di fantasia e immagini, di voli del pensiero e poetici, utilizzando, in modo incrociato, diverse tecniche di narrazione, a partire dal coro greco, per arrivare sino alla facondia marqueziana, al soprannaturale che, in qualche modo, entra ed interferisce con la vita quotidiana. Le prova tutte Fois con la scrittura, per farci vivere dall’interno questa vicenda e, se non per farcela capire, quanto meno per farcela partecipare: dalla ricostruzione esterna, alla voce del protagonista in prima persona, dai rapporti ufficiali a quelli umani, anzi transumani, dall’incrocio dei piani temporali, che si mischiano, si ritrovano, si tornano a mischiare e solo alla fine di discernono perfettamente, fino all’uso differente delle lingue: l’italiano e il sardo (non tradotto!) con funzione narrante o di dialogo. La bravura dell’autore sta proprio in questo, nel sapere andare oltre la letteratura di genere, per costruire un’opera che vola alta nel cielo dei romanzi di questo inizio di millennio. In alcuni momenti le compenetrazioni tra generi e tra lingue ricordano i migliori momenti di Camilleri, in altri la vena narrativa di Fois si dispiega ancora più forte e chiara, fino a costituire un unicum letterario che appartiene in tutto e per tutto all’autore. Samuele Stocchino (ma anche Stochino) nasce a fine ottocento ad Arzana, con già sulla faccia quel “marchio speciale di speciale disperazione” destinato da molto presto a farne un “diverso”. La mamma, Antioca, si dispera pensando che la causa sia il suo voto alla Madonna per un figlio che non voleva avere. Fatto sta che già bambino di sette anni, Stocchino porta sul volto e nel cuore i segni che gli condizioneranno la vita a venire. Ha visto un agnello cadere dal cielo, davanti a una chiesa, probabilmente portato da un’aquila che non ce l’aveva fatto a tenerlo, ha visto la cattiveria del bottaio che gli negava l’acqua, ha visto l’inferno rifiutarlo dopo che, caduto in un crepaccio e creduto morto era rimasto tre giorni e tre notti sospeso a un ginepro lungo la scarpata, fino ad essere casualmente salvato per intervento di colei che, poi scoprirà, era l’amore. Quando i primi anni ti riservano questo, cosa si può prevedere se non la partenza per la guerra di Libia, i gradi di caporale guadagnati sul campo, perché nessuno sapeva uccidere come lui, una febbre polmonare che quasi lo uccide, il ritorno al paese da eroe, l’incontro con l’amore e l’inizio di una faida lunga più di 20 anni con il “possidente” locale. Una nuova guerra, la prima guerra mondiale sul Carso, con nuovi eroismi e medaglie e, a cavallo della guerra, l’inizio di una serie di omicidi in Sardegna che gli varranno a poco a poco il ruolo di nemico pubblico numero 1, fino a una taglia stratosferica sulla sua testa, messa dal nuovo regime fascista, ammontante a 250 mila lire, una cifra mai vista! Questa la breve, eroica vita di Samuele Stocchino, morto a 39 anni, dopo 20 di latitanza e dopo aver visto morire quasi tutta la sua famiglia. Affidate queste vicende, dove la parte romanzesca ha nettamente il meglio su quella documentaria, alla penna di Marcello Fois ne scaturisce uno dei romanzi di maggior peso tra quelli usciti in Italia in questi ultimi anni, magnificamente scritto, ottimamente orchestrato e con una protagonista di bellezza pari solo al suo pudore: la Sardegna narrata da uno dei suoi figli. Il “noir” è nel cinismo della vita che insegna da subito al protagonista la mancanza di senso dell’esistenza, la sua oscura ferocia, il relativo valore di una vita umana all’interno di un destino ineluttabile, come un cammino nel buio. O come il precipitare nel vuoto: episodio reale e metafora nella vita di Stocchino, imprigionato nei confini di una società arcaica che non ti lascia scelte. Se non quella di subire o reagire.
Marcello Fois
Memoria del vuoto
Einaudi – Pag. 220 – Euro 16,50