Se non è proprio in declino, l’economia italiana cresce comunque poco e continua a perdere terreno rispetto agli altri principali paesi europei: dal 1995 il Pil pro capite dell’Italia è infatti cresciuto meno che in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna.
Cosa c’è alla base di questo fenomeno? L’insufficiente produttività delle nostre imprese.
E dove vanno cercate le cause di questo deficit di produttività? Nella scarsa propensione all’innovazione del sistema economico italiano.
È la tesi di fondo contenuta in ‘Innovazione cercasi’, il volume edito da Laterza che porta la firma di Francesco Daveri, professore ordinario di Politica economica all'Università di Parma, già consulente della World Bank e del ministero dell’Economia. Un pamphlet ricco di dati, spunti e prospettive, che si avvale di uno solido apparato documentale di base.
In mercati altamente competitivi, sostiene l’autore, sopravvive solo chi garantisce un prodotto di qualità migliore e al minor prezzo. In un contesto del genere l'innovazione può fare la differenza. Ma “come può essere che un popolo noto da sempre per il suo spirito di iniziativa - un popolo di poeti, eroi, navigatori - non sia più capace di innovare? Perché l’Italia fa poca innovazione?”. Perché, sostiene Daveri, in molte parti dell’economia italiana e soprattutto nelle piccole imprese (il 95% del nostro tessuto industriale) c’è la percezione di sostanziale inutilità dell’innovazione. Ma “se prima della rivoluzione di Internet ‘piccolo’ poteva essere ‘bello’ e le imprese potevano affidarsi a metodi più informali di innovazione, oggi - argomenta l’autore - la globalizzazione e la rivoluzione tecnologica indotta dalle tecnologie dell’informazione hanno cambiato i modi di competere, rendendo obsoleto il vecchio distretto italiano fatto di tante imprese tutte uguali”.
Nel quarto dei cinque capitoli, “Tre casi di successo: Irlanda, Finlandia e Regno Unito”, Daveri ci invita ad imparare da quei paesi - fra questi, appunto, Irlanda, Finlandia e Regno Unito - che “sono riusciti nell’impresa di ritornare a una rapida crescita economica trainata essenzialmente dalla produttività”. Il ‘miracolo irlandese’ trova origine nella creazione di un distretto industriale high-tech “basato sulla presenza di elevati investimenti da parte di grandi imprese multinazionali dell’elettronica e sul parallelo sviluppo di capacità imprenditoriali autoctone favorito non dalle pratiche protezionistiche del passato, ma dallo sviluppo di complementarietà tra il capitale straniero e quello umano, finanziario, imprenditoriale presente in loco”.
Alla base della ricetta del successo finlandese sta invece “la felice intuizione commerciale” che il telefono cellulare sarebbe diventato un bene di consumo di massa. Su questa intuizione Nokia ha costruito la sua leadership commerciale spiazzando i diretti concorrenti.
Quanto al Regno Unito, i fattori associati all’elevata crescita della produttività sono messi in relazione con la presenza di un appropriato business environment “che porterebbe a una maggiore creazione di nuove imprese, oltre che a una loro più probabile sopravvivenza dopo la nascita”.
La strada maestra per promuovere l’innovazione e rilanciare il Paese? Daveri non ha dubbi: liberalizzare mercati e servizi e investire in modo più massiccio in Ricerca Sviluppo. Perché, conclude l’autore, “l’innovazione è diventata una necessità di sopravvivenza per l’economia italiana”.
“Purtroppo o per fortuna”, avverte in chiusura il docente di politica economica, “il ‘problema italiano’ - quello dell’innovazione - non si può risolvere per decreto: ci vorranno tempo, riforme e sacrifici perché la produttività italiana possa ritornare a crescere come in passato”.
Francesco Daveri
Innovazione cercasi. Il Problema italiano
Laterza
Pagg 160, euro 16,00