Mater certa est: identità in formato grembo, istinto –pur passibile di devianze e incoscienze- che compone pensieri e azioni in un passo a due serrato e innamorato, che non perde il ritmo dei millenni e conduce o improvvisa in una sacrificale armonia.
Incerto è il padre. “Colui che genera uno o più figli”, nella definizione onesta e pragmatica del dizionario, è battezzato padre in solitudine e scontata autorevolezza. Cresce, arranca o regredisce in uno zapping di ruoli e richieste il cui tasto è premuto spesso da altri. “Il maschio ‘paterno’ non esiste allo stato naturale” cita il giornalista della Stampa Carlo Grande nel più intenso e interrogativo dei racconti raccolti sotto il titolo “Padri”. “L’evoluzione fu guidata dalla donna” che, in pudore e intimità, concedendosi a un solo maschio nell’invenzione raffinata di un piacere “teoricamente” sempre possibile, sostituì alle stagioni la misura di un “amore” che è rinuncia all’istinto goffo e fuggitivo.
Questione di cultura, diventar padri. “Nascere” padri, sulle spoglie selvagge del “maschio pre-paterno, che proponeva soltanto l’avventura, la frenesia di novità, la smania di agire, di possedere”, millenni prima della codifica letterario-psicanalitica dell’Homo Peter Pan. Un maschio fossile che cova riscatto o disperata disfatta sotto la cenere della civilizzazione -pronto a mettere in discussione un matrimonio spento e la responsabilità nei confronti di una figlia acuta e ineffabile nel suo parallelo percorso di crescita- dopo aver sostato davanti alla gabbia dei bonobo, scimmie dalla sessualità orgiastica, allegra, trasversale e sconfinata. Se, dunque, l’etico e conflittuale Giovanni, protagonista di “Un cretino in giro”, sogna una fuga –nel pacchetto tutto compreso di Smarrimento e Ritrovamento di Sé- in Africa, sotto l’egida salvagente di una organizzazione non governativa, tutti i padri di Carlo Grande sono “maschi perplessi” e in apnea. Navigatori sottomarini tra coraggio e ancoraggio. Tra le rive già incise da antenati, figure o simboli paterni –il padre cacciatore, il bisnonno scolpito in spirito e tratti nelle rocce piemontesi, il prete smunto e entusiasta allevatore di anime, il Monviso e la sua vetta da abbracciare- e le onde delicate di figli bambini o adolescenti che sembrano proteggersi da soli.
Racconti onesti, gentili, forti nella provocazione ironica e delicata pur senza il salto di qualità e necessità letteraria, sostenuti e elevati da citazioni intriganti – dal libro di Luigi Zoja “Il gesto di Ettore” e dalla raccolta di saggi “La scimmia e l’arte del sushi” di Frans de Waal è stato ispirato il racconto che più curiosamente esplora e approfondisce l’insostenibile incertezza del padre- gli scritti di Grande sostano sui fragilissimi quarant’anni, “l’età, diceva Picasso, nella quale ci si sente finalmente giovani, ma è troppo tardi”. L’età in cui nessuno racconta “più come si fa a diventare uomini”. E alle avventure maschie e guerriere di Ettore e Ulisse, alle nostalgiche verità ancorate al dialetto montanaro, ai “soffierò sul tuo fuoco” di educatori fiduciosi, subentra dunque la favola moderna, timida e scarna sussurrata dal Padre in Cantiere ai figli della playstation, dei kamikaze e dello tzunami: “Speriamo, speriamo tanto”.
“Padri. Avventure di maschi perplessi” di Carlo Grande
Ponte alle Grazie, pagg. 123, euro 10.00
www.ponteallegrazie.it