4 agosto 2006 |
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La splendida “faccia di sale” di Eraldo Baldinidi Giorgio Maimone |
Capita poche volte, ma capita.
Che in un librino di 148 pagine ci stia quasi la perfezione. Quasi, perché la perfezione non è di questo mondo, ma Eraldo Baldini in “Faccia di sale” arriva a sfiorarla. Fin dai tempi di “Malaria”, suo esordio nella grande letteratura, di Eraldo Baldini si dice un gran bene, nonostante che spesso abbia “rifiutato” di misurarsi sulla dimensione di grande formato del romanzo, preferendo la dimensione più raccolta del racconto. Baldini, infatti, non ama sbrodolarsi di parole, nemmeno quando dal racconto sale alla dimensione del “racconto lungo”, che, forse, per lui rappresenta un optimum. “Faccia di sale” contiene tutto il meglio di Baldini: poche parole vane, molte essenziali, una viaggio a ritroso nel tempo (qui siamo a cavallo tra il 1699 e il 1700) e un’atmosfera complessiva che più che al noir tende al gotico, al nero deciso, alla dimensione del terrore, se non dell’orrore. E in “Faccia di sale” c’è una scena che rende benissimo il terrore, anzi che va oltre il terrore, oltre l’immaginabile, quando il protagonista, orrendamente ferito e sfigurato e gettato più morto che vivo in una cripta piena di cadaveri in disfacimento, senza possibilità di procurarsi né da mangiare né da bere, si rifiuta ostinatamente di morire. Nonostante tutto sia contro di lui, nonostante ogni ragionevole speranza, nonostante lo stesso protagonista non desideri e non chieda altro che la fine, la fine di tutti gli orrori e la fine di tutte le sofferenze, arrivando anzi a chiedersi se la morte non sia questa, se l’inferno non sia che la prosecuzione indefinita e interminabile delle sofferenze.Le Top News del Sole 24 ORE sul telefonino. | TOP al 48224 |
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