3 agosto 2006 |
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Il Veneto muschioso di Goffredo Parisedi Giovanna Canzi |
Le escursione nella memoria sono da sempre i tragitti più emozionanti da intraprendere.
Se poi a guidare il cammino è una sinestesia di immagini e parole, allora questo viaggio si rivela unico nel suo genere. Così accade che chi sceglie di lasciarsi condurre dai ricordi di Goffredo Parise e dalle immagini di Lorenzo Capellini, si ritrova a vagare per quel Veneto barbaro e muschioso, avvolto da nebbie e profumato di sambuco, che il grande scrittore riconobbe come “Madre terra” e vera Patria. A vent’anni dalla scomparsa dell’autore vicentino la riedizione di un lavoro editoriale del 1987 - “Il Veneto di Goffredo Parise”, Minerva edizioni, 18 euro - e una mostra fotografica ospitata fino all’8 ottobre presso la Casa di Parise a Ponte di Piave, trattengono il ricordo di chi ha lasciato ai posteri romanzi, sceneggiature, racconti e reportage giornalistici. Un lavoro, nato in primis, da un forte sentimento: l’amicizia. Un’amicizia quasi fraterna - propria di chi in questo mondo si trova e si riconosce affine - è infatti quella che legò Parise a Capellini, che, dopo essersi incontrati alla fine degli anni ’60, divennero inseparabili. E’ dunque “un’identità d’occhio e d’amore” – come scrisse Guido Vergani nell’introduzione al primo volume – il filo rosso che avvolge i testi di Parise e gli scatti di Capellini, frutto di un peregrinare felice, alla scoperta di un’infanzia lontana. Si parte da Vicenza “neoclassica, città di pietra grigiasca, che in molti punti sembra finta, fatta di magnifiche quinte teatrali>>”, dove Parise nacque e dove scelse di ambientare cinque romanzi. Scorci, angoli, improvvise colonne si specchiano in pozzanghere piene di ranocchi. Da Vicenza, passando per Padova si giunge a Venezia, solenne capitale del Veneto, “sogno di tutti i sogni”. Fritto di pesce e odore di pontile si confondono al sapore salmastro della pelle, appena uscita dall’acqua. Venezia dominata da sontuosi alberghi, Venezia segreta nel suo ghetto, Venezia scintillante “con il suo ricciolo di ferro sulla punta delle gondole”. Dagli stretti canali di una città decadente alle immense distese innevate di Cortina, lucenti di sole, splendenti nel loro candore. Qui, nella conca Ampezzana e sulla cima del monte Lagazuoi, lo scrittore sfidava il pericolo, e senza compagnia, si abbandonava a escursioni solitarie a cavallo dei suoi soli sci. Qui, di fronte a distese immacolate, non battute da alcuno, lo scrittore si riconosceva felice di vivere. Se il senso di infinito è quello che respiriamo di fronte ai grandiosi paesaggi montani, un’atmosfera rarefatta, intima e quasi crepuscolare ci avvolge, entrando nelle abitazioni di Parise. Condotti per mano dal sapiente occhio di Capellini, siamo accolti nella piccola “casa delle fate” di Salgareda. Una casetta minuscola e vecchia, dove lo scrittore compose i suoi “Sillabari” - lampi di poesia in prosa - e che fu il rifugio più amato, dove scelse di vivere al ritorno dei suoi lunghi viaggi. Qui la finestrella dove appariva l’upupa, qui il grande camino, qui il luogo più adatto dove “respirare il senso del tempo…. e senza troppe scosse diventare vecchi e morire in una giornata di vento”.Le Top News del Sole 24 ORE sul telefonino. | TOP al 48224 |
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