Arrivò a Venezia per la prima volta nel 1983, con Colpire al cuore, l’opera che ne decretò il successo. Nel 1998 fu la volta di Così ridevano, che gli valse il Leone d’oro. Con Le chiavi di casa, nel 2004, non ottenne alcun premio, ma presentò una storia delicata e convincente, che conquistò pubblico e critica. Oggi Gianni Amelio, 61 anni, torna alla Mostra del Cinema di Venezia con La stella che non c’è, primo film italiano in gara.
Dietro la sceneggiatura, scritta a quattro mani da Amelio stesso e Umberto Contarello, c’è un grande libro, quella Dismissione di Ermanno Rea che descrive il progressivo smantellamento dell’Ilva di Bagnoli e le sue ragioni più profonde, dipingendo la fine di un’epoca nella Napoli degli anni Novanta del Novecento. Gianni Amelio ha invece voluto “cominciare daccapo - come spiega lui stesso - da quello che immaginavo potesse accadere dopo l’ultima pagina”. Il protagonista, Vincenzo Buonavolontà (che ha il volto di Sergio Castellitto) è stato a lungo manutentore specializzato nei controlli delle macchine nello stabilimento siderurgico di Bagnoli. Ora che gli impianti sono in disarmo, è stato incaricato di seguire la vendita di un altoforno ai cinesi, ma si rende conto che l’apparecchiatura ceduta è difettosa e decide di partire per Shanghai, avventurandosi così in un difficile viaggio alla ricerca della macchina, accompagnato dalla giovane Liu Hua. “È un’impresa donchisciottesca da parte di un uomo fuori dal comune”, commenta il regista, “un uomo dall’integrità desueta, dai valori antichi e fuori moda, e perciò incompreso”.
Parla di Oriente anche il secondo film in concorso questa sera, L’intouchable, del francese Benoît Jacquot, che ama raccontare storie che hanno al centro personaggi femminili. E anche la pellicola portata a Venezia ha per protagonista una donna, Jeanne (interpretata da Isild Le Besco), un’attrice che scopre di avere un padre indiano, definito dalla madre “intouchable”. Anche lei, come il protagonista del film di Amelio, decide di partire per questo Paese lontano e conosciuto soltanto attraverso stereotipi e semplificazioni. Si ritroverà immersa in riti, canti, colori e odori sconosciuti, costretta a usare gli abiti tradizionali indiani. Ritroverà il padre, ma alla fine deciderà di abbandonarlo e tornare a casa.
Torna protagonista la storia americana recente in Bobby, il film, in concorso, di Emilio Estevez, che porta sul grande schermo la morte di Robert F. Kennedy (fratello minore del presidente John), avvenuta all’Hotel Ambassador di Los Angeles nel 1968, poco prima delle elezioni che lo vedevano candidato alla presidenza. Il regista sceglie di raccontare la storia attraverso il punto di vista di 22 personaggi, la cui vita è lontanissima da quella di Bob Kennedy, ma accomunati dall’aver assistito senza volerlo a un avvenimento di portata storica. Il cast è ghiottissimo, da Sharon Stone a Antony Hopkins, da Demi Moore a Helen Hunt, alla giovane Lindsay Lohan.
Arriva fuori concorso l’opera prima di Piotr Ulanski, Summer Love, che è anche il primo western polacco. Anche se, precisa il regista, “Non è un western, ma un film allegorico che fa uso del linguaggio del western, per trattare i temi dell’identità etnica e dell’autenticità culturale”. È una storia d’amore, girata nel sud della Polonia, dove i protagonisti sono figure archetipiche come l’Uomo, la Donna, lo Straniero…
E dal Giappone arriva invece, sempre fuori gara, una “storia di fantasmi”, Sakebi (Castigo), di Kurosawa Kiyoshi. Protagonista un detective che sta indagando su un serial killer e finisce per sospettare di se stesso.