20 ottobre 2006 |
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Il cinema di Gianni Amelio tradotto in paginedi Giovanna Canzi |
Mentre nelle sale continua a brillare la sua “Stella che non c’è” - pellicola presentata alla 63° edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia –, una monografia accurata e approfondita di Gianni Amelio approda in libreria.
Stiamo parlando del 221° “castorino”, che la Casa Editrice milanese (www.castoro-on-line.it) ha dedicato a uno dei registi più apprezzati del panorama contemporaneo. Pur rispettando il rigore peculiare alla collana - filmografia completa, trama e analisi di ogni film, oltre che cento fotogrammi tratti direttamente dai suoi lavori -, il nuovo Castoro, curato dalla critica e giornalista Emanuela Martini, si arricchisce di un tocco narrativo lieve e intenso, che spinge il lettore a divorare l’opera, proprio come fosse un bel romanzo. Il lavoro critico della Martini è, infatti, un semplice e profondo racconto, che ci traghetta ora a ripercorrere la biografia del regista, ora a rileggere la sua carriera in controluce, da una prospettiva e da un’angolazione precisa, ora a ricomporre i tanti tasselli di una storia collettiva, che ha visto il nostro Paese come protagonista principale. Attraverso il primo percorso ci confrontiamo con la vita di Amelio, autore che, come ricorda la Martini, non si è mai sottratto all’autobiografia, perché troppo onesto con se stesso per non ammettere che ogni regista racconta sempre la stessa storia, cioè la propria. Così arriviamo a conoscere meglio quel ragazzo nato in provincia di Catanzaro, da un padre diciassettenne – che lo lascerà solo, imbarcandosi per l’Argentina – e da una madre quindicenne. Quel ragazzo, che è segnato da morti feroci “non naturali, come è la morte quando colpisce i bambini o le persone che secondo te in quel momento non dovrebbero morire” (la madre muore a trentotto anni e la sorellina a due) e che trascorre la sua adolescenza con una nonna che lo porta al cinema e lo fa studiare, senza sapere che un giorno sarebbe stato il nipote a disegnare la realtà sul grande schermo. Ma questa autobiografia, che spesso gli è costata etichette sommarie, non sfocia mai nell’autoreferenzialità, perché mentre il regista esamina il proprio sradicamento, fotografa assieme anche le conseguenze devastanti della nostra perdita di identità culturale. Il secondo tragitto ci permette di individuare nei lavori di Amelio un filo sottile, che lega personaggi, situazioni, luoghi raccontandoci sempre, in modo onesto e acuto, la realtà. Il suo, come sottolinea l’autrice, è uno sguardo alieno al cronachismo piccolo borghese, che ha afflitto il cinema italiano degli anni Ottanta e Novanta. E’ un cinema concreto, fatto di personaggi che esistono anche nel disastro della loro identità, nell’afasia affettiva, parlano la lingua della gente comune, si muovono in stanze riconoscibili di una geografia umana e sociale, che troppo spesso il cinema italiano ha forzato in una direzione metafisica e la fiction televisiva ha, invece, quotidianamente appiattito. Fin dai primissimi suoi lavori - come “La fine del gioco” - Amelio ha cominciato a insinuare, in chiave poetica, uno dei dubbi che caratterizzeranno tutta la sua opera: che senso ha la trasmissione del sapere, della cultura, della scienza se non è sorretta da un cuore? Questo sguardo morale, etico, serio e profondo guiderà dunque il suo modus operandi in tutti i suoi film, sia quando parla di rapporti sbagliati fra cattivi maestri e bambini degni di rispetto - “Il piccolo Archimede”-, sia quando racconta il ricatto morale che germina nelle asfissie familiari - “Così ridevano” -, sia quando allarga il campo per raccontare un paese stremato e dilaniato dalla povertà come l’Albania - “Lamerica”-, o dai forti contrasti come la Cina - “La stella che non c’è”-. E giungiamo così alla terza prospettiva da cui leggere il libro, che grazie alla ricostruzione storica della Martini, ci consente di ripercorrere il nostro passato, partendo dagli anni ’70 e arrivando a oggi. Il terrorismo, sfiorato da Amelio in “Colpire al cuore”, la mafia e la decadenza morale in “Porte aperte” e soprattutto l’Italia del dopoguerra, fatta di emigrazione, povertà e arretratezza, emersa attraverso il confronto con l’Albania di “Lamerica” o con la Cina de “La stella che non c’è”, entrambe specchi di un passato lontano, ma dalle tensioni non del tutto sopite.Le Top News del Sole 24 ORE sul telefonino. | TOP al 48224 |
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