“Nello schema fondamentalista, c’è solo una persona che immagina: Dio”.
Un’ autorità invisibile e onnivora che macera nell’”oltre” la tirannia del desiderio. E impacchetta le opzioni di una libertà libertina per spedire anime nel paradiso dell’identità perduta. Perché l’Occidente è desiderio e libertà. L’isola felice che non c’è. Dove i germogli che non attecchiscono attaccano. E chi è escluso esclude, nel rimpallo ostinato di dialogo e conoscenza, senza i lumi arbitrali della ragione: “I razionalisti hanno sempre sottostimato il desiderio delle persone di avere qualcosa in cui credere. I valori dell’illuminismo -il razionalismo, la tolleranza, lo scetticismo- non ti fanno superare una notte piena di incubi; non forniscono conforto spirituale, senso di comunanza o solidarietà. Mentre il fondamentalismo islamico può fornire tutto ciò, in un paese che avrebbe dovuto essere casa, e che invece sembra, giorno dopo giorno, straniero”.
A lanciare “La parola e la bomba” –titolo di una breve raccolta di riflessioni critiche e racconti su immigrazione e integralismo, scritti nell’arco di un ventennio- è lo scrittore e sceneggiatore Hanif Kureishi. Nato in Inghilterra nel 1954 da padre pakistano e madre inglese, Kureishi ha vissuto sulla sua pelle -scura- la “maledizione”, pavida e paralizzante, del razzismo. Sinonimo dispotico di Chiusura. In se stessi, bloccando al check-in del pregiudizio un’identità adolescente che vorrebbe prendere il volo: “Io non ero uno sbandato…Erano gli altri, a volere gli sbandati. Volevano che racchiudessi dentro di te la loro ambivalenza”. Nei ghetti degradati della periferia, tra bande di skinheads in cui poteva capitare di vedere arruolato anche il miglior amico d’infanzia, come il candido Bog Brush (Latrina Spazzolata), che ispirò il personaggio di Johnny nella sceneggiatura del film candidato all’Oscar nel 1985 “My beautiful laundrette”. Nel parallelepipedo stupido e catodico della televisione, cornice spigolosa del globo, che con battute di scherno celebrava e amplificava il rito del disprezzo in formato salotto. O nella propria stanza da letto, cambiando ogni settimana i poster alle pareti, nella vana ricerca di Idoli di orgoglio razziale e liberazione che non cadessero, a loro volta, in conflittuale fanatismo.
Scorrendo, dunque, su una consapevolezza vissuta ed esplorata -tra Occidente e Oriente, tra Londra e Karachi- la penna di Kureishi incide, lucida e “implacabile”, e convince. Cresciuto in illuminismo, liberalismo e creatività, convinto che “la libertà non potesse mai essere abbastanza”, lo scrittore anglopakistano e ateo analizza pericoli e paradossi di una libertà in crisi di autorità.
“Gli americani avevano avuto paura del comunismo ma non avevano afferrato il significato delle moschee”: un’inedita rivoluzione religiosa che ha consentito, soprattutto alle giovani generazioni di immigrati musulmani, di coniugare disobbedienza e ribellione –ai padri, colpevoli di compromesso con i disvalori occidentali, e a una nuova patria di illusioni e dispersioni che offre “troppe scelte, troppe opportunità, troppo desiderio”- con l’obbedienza e il più rigido conformismo. A un io confusamente in espansione si oppone un Dio che restringe “il repertorio delle possibili idee di sé”. In una omologazione che si fa sempre più astrazione. E dalla fatwa a Salman Rushdie nel 1989 (la prima, vera presa di coscienza da parte di Islam ed Occidente della forza e delle potenzialità dell’integralismo islamico), attraverso gli attentati alle Torri Gemelle, a Londra e a Madrid, sino all’attuale spirale di guerre e violenza (“Per quanto tentiamo di ingannarci, siamo abbastanza consapevoli di quanto sia necessario, a volte, uccidere gli altri per raggiungere i nostri fini e proteggerci. Se assumiamo questa posizione, però, poi non possiamo fingere che sia moralmente facile, cercando di sfuggirne le conseguenze”), è la sacra concretezza della Vita -persone, pensieri, azioni e sangue- a subire una svalutazione di portata epocale.
Razzismo e integralismo insabbiano il miraggio del multiculturalismo, in un deserto di voci e di “immaginazione vitale” che tende ad istituzionalizzare convincimenti personali pregiudicando qualsiasi “scambio di idee robusto e serio”. L’unico conflitto, sottolinea acutamente Kureishi, che valga la pena sopportare.
Disincantato, vigile, curioso e originale, lo scrittore mostra in dettaglio teorie e scenari, considerandoli, tuttavia, “non in termini di idee, ma in termini di storie e di personaggi, guardando ciò che la gente fa”. E affidando al pensiero creativo e a un’istruzione scolastica laica e critica un ruolo essenziale per restituire alle nuove generazioni una libertà sana, autoanalitica, orientata e stimolante. Perché “il carnevale della cultura che nasce dal desiderio umano” accoglie colori e costumi. Ricordandoci che, in fondo, uno dei libri più ricchi di racconti e fantasia, “Le mille e una notte, è, come il Corano, scritto in arabo”.
“La parola e la bomba” di Hanif Kureishi
Traduzione di Ivan Cotroneo
Bompiani
www.bompiani.rcslibri.it
Pagg. 141, euro 10,00