3 novembre 2006 |
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Libri/Le molteplici conversioni del “Reduce” Ferrettidi Francesco Prisco |
«Dovremmo recitare il Pater Noster così come ci è stato insegnato, in aramaico lingua parlata da Gesù, Signore nostro. Parola sacra, preghiera rivelata, perde fascino che è legame se tradotta. La traduzione serve a capire, fin dove si può, il senso e come tale è indispensabile ma monca di suono tono ritmo muta il respiro, il soffio e perde potenza».
Non è un brano di padre David Maria Turoldo, ultimo grande autore mistico d’Occidente, ma di Giovanni Lindo Ferretti, di mestiere cantante, di vocazione poeta. Negli anni Ottanta infiammava la scena alternativa italiana con il punk filosovietico dei Cccp, al grido di «Fedeli alla linea: Dio non c’è». Negli anni Novanta scalava le classifiche con il rock contaminato dei Csi, in nome di una «atea mistica meccanica». Poi l’esperienza dell’elettronica, con i Pgr e da solista, sempre in bilico tra l’(auto)irriverenza e la ricerca di orizzonti nuovi e imprevedibili. Da un lato un pubblico di fedelissimi che lo osannano, dall’altro la sua cascina sull’Appennino tosco-emiliano, i cavalli cui dedica canzoni (come dimenticare il vecchio “Tancredi”?), le sue passioni letterarie, capaci di mettere in fila i partigiani di Beppe Fenoglio e i libri sapienziali della Bibbia. L’ultimo imprevisto orizzonte toccato da Giovanni Lindo Ferretti si chiama “Reduce”, sorta di particolarissima autobiografia di 120 pagine appena pubblicata da Mondadori che riesce indigesta ai fan della prima ora. Ad infastidire, al di sopra di tutto, è la conversione al cattolicesimo romano che porta Ferretti a intonazioni liriche come «Dio benedica sua Santità Benedetto XVI che ancora Cardinale scrisse, per me illuminante, Liturgia, e prego lo Spirito Santo che lo fortifichi e lo sostenga». Per non parlare delle pagine in cui è forte la suggestione per la storia e la mitologia di Israele («Amo Israele per gli Ebrei ortodossi, anche quelli che non lo riconoscono come Stato»).
Ci sono due strade possibili per accostarsi a “Reduce”. La prima è quella dell’attento conoscitore dell’opera ferrettiana che vedrà probabilmente in questo libro l’ultima incarnazione di un intellettuale inquieto, sempre in cerca di punti stabili ai quali affidare le propria vita (marxismo-leninismo, natura, religione), salvo scoprirne a proprie spese la pericolosa instabilità. Con questo approccio, però, si rischia di rimanere delusi: non sempre le pagine di “Reduce” raggiungono per ispirazione le liriche scritte per i primi Csi. I pensieri cui approda i Ferretti scrittore sono poi spesso in antitesi con quelli del Ferretti paroliere dei Cccp. La seconda strada possibile è quella di chi non sa niente di Ferretti o prova a dimenticare tutto quello che l’autore ha fatto fino all’altro ieri. In questo caso ci si imbatterà in un testo la cui prosa è concentratissima: ogni parola è carica di significato e in quanto a stile (gli a capo abbondano) rincorre disperatamente la poesia. Le pagine più esaltanti, in quest’ottica, sono quelle con i ricordi d’infanzia dell’autore (nel capitolo “Converso”), intrise di un lirismo familistico che ricorda il primo Erri De Luca.
Leggere le gesta dei Cccp, su cui si è tanto favoleggiato, attraverso gli occhi disillusi di colui che ne è stato il “lìder maximo” non può comunque non sorprendere. Dietro l’eroe della controcultura italiana scopri una specie di monaco laico che ambisce a vivere, dimentico e dimenticato, lontano dalle vanità del mondo.
Giovanni Lindo Ferretti
“Reduce”
Mondadori
pp. 120
Euro 13,00
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