“La cura dei sogni” potrebbe piacere a un Michelangelo Antonioni alla ricerca di un soggetto sulla crisi dei trentenni di oggi. Il romanzo, scritto dal giornalista Paolo Bianchi, racconta in una prosa in bilico tra minimalismo e bella scrittura il senso di spaesamento di chi, adulto, è costretto ad accettare lavori precari, a chinare il capo di fronte ad un superiore, a vergognarsi della ricchezza accumulata dai propri genitori e, soprattutto, a nascondere i sentimenti, percepiti come debolezze da una società che mette l’assunto “produci, consuma, crepa” davanti a tutto. C’è poi, molto forte, il tema dell’incomunicabilità, cui lo stesso Antonioni dedicò gran parte della propria produzione cinematografica, da “Il grido” in poi.
Tre protagonisti, tre percorsi narrativi che si intrecciano, tre vicende attraversate da tante piccole miserie quotidiane e da una costante, ingenua speranza di riscatto. Lo sfondo è Milano, quella dei cocktail nei bar alla moda, delle aspiranti soubrette, dei colletti bianchi e degli operai accomunati dall’uso della cocaina per riflettere meno e divertirsi di più. Simone è un restauratore che viene dalla provincia ed ha grandi difficoltà relazionali con l’altro sesso: coltiva il grande amore idealizzandolo e, forse proprio per questo, non riesce mai a dichiararlo. Eugenia è la collega cui indirizza le sue attenzioni, tanto bella quanto scottata dalla vita. Unica sua consolazione, la ricerca morbosa del dolore, quasi un tentativo di espiazione per il peccato di essere in vita. Andrea è un gigolo con le idee chiare. Offre il suo corpo in cambio di denaro, rincorrendo il sogno di una barca, una libertà assoluta che, in natura, probabilmente non esiste. Tutti e tre, ciascuno nel suo particolarissimo modo, si vendono per sopravvivere e vedono morire, giorno dopo giorno, i sogni con i quali hanno nutrito la propria giovinezza. Se i trentenni di oggi raccontanti da Bianchi strappano un sorriso amaro, non se la cavano sicuramente meglio quelli della generazione precedente. C’è la responsabile del centro restauro da cui dipendono Simone ed Eugenia, per esempio, che utilizza il ricatto come strumento di trattativa (anti)sindacale. Percorso agevole, in tempi di lavoro precario, per tenere in pugno le proprie dipendenze. Ci sono i genitori di Eugenia, separati e ricchissimi, che se possibile si sforzano per essere ancora più ricchi e ancora più separati dalle persone che provano affetto verso di loro. Ci sono le clienti di Andrea, che cercano nel rapporto sessuale mercenario un surrogato di quell’amore che non c’è, è soltanto il ricordo di una gioventù lontana o, peggio, non c’è mai stato.
All’autore si può forse rimproverare un eccesso di coincidenze alla Kieslowski, una organizzazione della trama nella quale anche alcuni personaggi apparentemente accessori si scoprono primi attori nelle ultime dieci pagine. Ma più che di un difetto, si tratta di un approccio alla narrazione che alla gran parte dei lettori risulterà addirittura gradito.
La storia raccontata da Bianchi potrebbe svoltare, da un momento all’altro, verso la tragedia ma alla resa dei conti si smorza in un finale sospeso di quelli che lasciano l’amaro in bocca. E’ vero, i protagonisti sopravvivono, ma a quale prezzo! Sono dei vinti, alla maniera dei personaggi che Antonioni ha raccontato fino a “Professione reporter”. E che da oltre trent’anni a questa parte, colpa dell’età avanzata, della malattia o dell’ispirazione perduta, non riesce più a restituirci.

Paolo Bianchi
“La cura dei sogni”
Salani
pp. 238
Euro 12,50