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Giuseppe Altamore: quando la pubblicità uccide l’informazione

di Giovanna Canzi

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18 gennaio 2007

Ventisei giornalisti scientifici, coccolati fra le bianche spiagge di Santo Domingo, scoprono i miracolosi effetti di una pillola anticoncezionale e si affrettano a comunicarli urbi et orbe dalle pagine dei loro giornali. Esperti del settore auto, invitati a Valencia per un soggiorno deluxe, riportano la straordinaria bellezza di un modello appena lanciato sul mercato. Quotidiani e periodici economici danno voce solo a banche e assicurazioni, trascurando esperti indipendenti e associazioni di consumatori. Questo il triste panorama disegnato da Giuseppe Altamore che, nel suo “I padroni delle notizie” (Bruno Mondadori Editore, euro 12,50, www.brunomondadori.com), scoperchia un vaso di Pandora, da cui escono comportamenti poco ortodossi e un malcostume generale accettato e condiviso. Un “J’accuse” vibrante e coraggioso, se pensiamo che il demiurgo di questo preciso ed esauriente saggio è proprio un giornalista (vicecaporedattore di Famiglia Cristiana) che, noncurante dell’inevitabile malumore che il suo libro avrebbe suscitato fra colleghi ed editori, legge in controluce i chiaroscuri della sua professione. Se per gli “addetti ai lavori” le scomode verità di Altamore possono sembrare quasi scontate – il sistema è talmente inquinato, da non suscitare più alcuna indignazione, anzi solo qualche sorriso – per il pubblico dei “semplici e puri” lettori il saggio è un utile strumento per districarsi in una giungla di false verità. Stiamo parlando, infatti, di come la pubblicità occulta si sia progressivamente impadronita di redazioni e Gruppi editoriali e di come ormai detti le regole di un gioco divenuto sempre più confuso e triste. Da quando, infatti, nel 1863 il farmacista bresciano Attilio Manzoni appaltava per sé una parte dei giornali, cogliendo le potenzialità di vendita insite nel rapporto tra informazione e pubblicità, la réclame è entrata prepotentemente nella vita di giornalisti e direttori, che come semplici marionette costruiscono servizi ad hoc per compiacere i propri inserzionisti, alias i loro padroni. Prima causa di questo insano meccanismo è - secondo Altamore – da ricercare nel sistema dei media, viziato in Italia più che altrove, da un problema di concentrazione delle risorse pubblicitarie. Se, infatti, il 70% degli introiti pubblicitari è in mano al duopolio televisivo Rai e Mediaset, solo il rimanente 30% è suddiviso fra televisioni locali, giornali, radio. Questo il motivo per cui l’inserzionista gioca per i quotidiani e per i periodici, a cui rimangono solo le briciole della grande torta, un ruolo fondamentale, ed è di conseguenza onorato, con ogni artificio e attenzione. Ben lontano dall’ergersi a giudice inflessibile di un modus operandi, che comunque permette il pluralismo dell’informazione e la possibilità di dare voce a più attori, Altamore lamenta, tuttavia, la degenerazione incontrollata del sistema. Lo testimonia la parola “marchetta” – termine basso, volgare – ormai di casa in una qualsiasi redazione. “Tutti fanno marchette” sembrano voler dire gli occhi maliziosi di molti giornalisti, che almeno una volta nella loro carriera, si sono voluti o dovuti piegare alla volontà di aziende farmaceutiche o alimentari, cosmetiche o automobilistiche. Ecco, dunque, che per un gadget, un viaggio, un invito a cena si gonfia una notizia, si enfatizzano le qualità di un prodotto, si vende al proprio lettore un’informazione pre-confezionata e costruita con abilità dall’instancabile schiera degli addetti alle pubbliche relazioni. Punta di un iceberg di un’informazione ormai malata e compromessa, la “marchetta” è un Giano Bifronte, che nasconde sia la cattiva coscienza di giornalisti facilmente corruttibili, sia la pressione imposta dai manager-direttori ai propri impiegati-giornalisti. Così accanto alla legittima pubblicità tabellare – quella che compare chiaramente al pubblico – ecco una serie di iniziative volte a vezzeggiare il proprio inserzionista. Veri e propri “consigli per gli acquisti”, camuffati negli articoli, scivolano fra le pagine della quasi totalità delle riviste ai danni dell’ignaro e povero lettore. Dalle aziende farmaceutiche alle case automobilistiche fino al settore dell’editoria (i famosi casi editoriali spesso non sono altro che una riuscita operazione di marketing), l’autore srotola esempi e snocciola nomi, puntando il dito su colleghi e direttori – “un news manager, un dirigente con un occhio al portafogli e un altro al contenuto” – che dimentichi dell’eticità della loro professione, hanno perduto la bellezza e il senso di un lavoro, che può ancora far volare, fra le limpide vette della pura verità.

Giuseppe Altamore
I padroni della notizie
Bruno Mondadori Editore
12, 50 euro; 192 pagg.
www.brunomondadori.com

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