Abbiamo atteso per quasi vent’anni che in Italia venisse pubblicato “I’m with the band”, le confessioni di Pamela Des Barres, nata Pamela Ann Miller, leggendaria groupie californiana che tra gli anni Sessanta e Settanta ha diviso il letto con Mick Jagger, Jimmy Page, Chris Hillman e Noel Redding, una che, per intenderci, dava del tu a Frank Zappa, Gram Parsons, Keith Moon e Ringo Starr, giusto per fare qualche nome. Ora che Castelvecchi ha portato finalmente in libreria “Sto con la band” la sensazione è che avremmo volentieri atteso almeno altri venti anni prima di veder crollare così uno dei miti della nostra giovinezza.
Nelle oltre 350 pagine della sua autobiografia Pamela Des Barres con una prosa da diario adolescenziale trascura la “Rivoluzione musicale” dei Sixties, quella meravigliosa massa incandescente di creatività che segnò le esperienze di cui è stata fortunata spettatrice, per soffermarsi su particolari di vita vissuta assolutamente trascurabili. E, peggio ancora, commette errori cronologici che hanno del clamoroso. E’ il caso di fare qualche esempio. Nella pagina di diario datata 10 gennaio 1969, mentre la Nostra si dibatte al pensiero di un imminente incontro con il primo bassista dei Byrds Chris Hillman, scrive: «Sto ascoltando le canzoni dei Byrds dell’anno scorso e We’ll meet again». Peccato che quest’ultimo brano figuri in “Mr Tambourine Man”, album d’esordio della band californiana datato 1965, non in “Notorious Byrd Brothers” né in “Sweetheart of the rodeo”, i due lavori dell’anno precedente al 1969. Lungi da noi condannare per così poco l’autrice, ma il fatto è che scorrendo in avanti le pagine di “Sto con la band” scivoloni di questo tipo sono all’ordine del giorno. Quando, per esempio, si sofferma sul privatissimo party di cui fu ospite alla fine del ’69 nella privatissima casa che i Rolling Stones avevano preso in affitto a Laurel Canyon arriva un’altra gemma: «Mick e io ballammo nel soggiorno l’ancora inedito album degli Stones, “Beggar’s Banquet”, e quando mi chiese che ne pensassi non riuscivo a parlare, ma feci un sorriso che era l’equivalente di una recensione entusiastica». Sarà stata l’emozione dell’incontro con Mick Jagger o piuttosto la costante assunzione di droghe psichedeliche ostentata con grande sicumera nelle pagine del libro, ma la Des Barres dimentica che a fine ’69 quel capolavoro di “Beggar’s Banquet” era disponibile in tutti i negozi di dischi d’America ed Europa da circa un anno. Altro che inedito! Per non essere da meno, anche il traduttore sembra voglia metterci del suo: gli Hollies, la prima band nella quale militò un certo Graham Nash, diventano le Hollies (sic) e il libro che abbiamo atteso per quasi vent’anni sembra trasformarsi in una specie di quiz da “Settimana enigmistica” degli anni Ottanta in cui il lettore deve trovare gli errori per vincere un radio-registratore a pile. Ma qualcosa di interessante o, almeno, di nuovo lo si apprende in “Sto con la band”? Ad essere franchi non sapevamo che Jimmy Page girasse con una valigia piena di fruste per eventuali comizi d’amore sadomaso e che al concerto di Altamont dei Rolling Stones, dove un giovane perse la vita a seguito di una rissa col servizio d’ordine, la protagonista fosse stata innaffiata di birra dagli Hell’s Angels. Proprio quest’ultimo episodio fa uscire fuori l’autentica indole della Des Barres: «Non sono costretta a sopportare tutta questa merda per vedere MJ (Mick Jagger, ndr). Prima di tutto perché l’ho visto così tante volte che posso chiudere gli occhi e vederlo ogni volta che mi va». Non c’è che dire, le groupie californiane avevano la puzza sotto al naso, tutt’altra pasta rispetto alle “colleghe” inglesi. Così, mentre leggevamo “Sto con la band” la mente tornava d’obbligo a “Groupie”, il bel libro che la londinese Jennie Fabian mandò alle stampe nell’anno di grazia 1969 (in Italia edito da Arcana). Quella sì che è un’opera imperdibile sul fenomeno del “groupismo”, capace di sprizzare musica da ogni pagina ed avvincere con una trama mai banale, per quanto autobiografica. Ma la Fabian si fece aiutare da Johnny Byrne, scrittore di professione, seguendo uno schema di lavoro che Pamela Des Barres avrebbe fatto bene ad emulare. Essere stata musa ispiratrice di celeberrime rock star non è un’esperienza che porta con sé il dono della scrittura. Un co-autore o, almeno, un ghost writer con un occhio alla ricostruzione storica degli eventi avrebbe giovato a “Sto con la band”. Ma la Des Barres avrebbe dovuto, in questo caso, fare professione di umiltà, dote che evidentemente non le apparteneva neanche a 19 anni.
Pamela Del Barres
“Sto con la band. Confessioni di una groupie”
Castelvecchi
pp. 358
Euro 16,00