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Libri/ I beni culturali visti da Roberto Cecchi

di Rodolfo Vasari

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12 marzo 2007


Non aspettatevi il solito volume sulla legislazione in materia di beni culturali. Non aspettatevi un pamphlet denuncia, più o meno ad effetto. Roberto Cecchi, architetto fiorentino, direttore generale per i beni architettonici e paesaggistici del Ministero per i beni e le attività culturali, nel suo libro "I beni culturali. Testimonianza materiale di civiltà", resta in equilibrio fra "memoires" professionali e note normative, tecniche, giuridiche. Senza respingere il profano che vuole capire qualcosa di più, offre spunti di riflessione ad addetti ai lavori e non. Partendo da quella che Cecchi definisce "rivoluzione copernicana": il lavoro della Commissione parlamentare Franceschini, che nel 1967 produsse un'insuperata indagine di tre volumi dal titolo "Per la salvezza dei beni culturali in Italia". La cui relazione introduttiva Cecchi riporta in appendice, assieme ad altri due documenti che l'autore individua basilari nel moderno concetto di tutela, "La carta italiana del restauro" del 1972, e "La convenzione europea del paesaggio", siglata a Firenze il 20 ottobre del 2000.

Questo libro ha un protagonista: il contesto. Un contesto che nelle esperienze professionali raccontate da Cecchi va inteso pragmaticamente. Basta leggera la surreale vicenda del restauro del povero, torturato "Cenacolo" di Leonardo in Santa Maria delle Grazie a Milano. Le vicende del restauro scaligero e della ricostruzione della Fenice, con un dubbio professionale che probabilmente non si scioglierà. «Bisogna capire che anche un intervento di restauro è un "vulnus". – ci dice Cecchi in occasione della recente presentazione fiorentina del volume – Come bisogna capire, e l'ho detto più volte pubblicamente, che dobbiamo arrivare alla tuela anche delle brutture». Un pragmatismo che accompagna scelte recenti, con l'inevitabile contorno di polemiche, come nel progetto dei Grandi Uffizi. «Abbiamo l'obbligo di rappresentare la nostra dignità di esseri moderni. Negli Uffizi vengono inserite due scale, ma nel pieno rispetto della struttura di Vasari». La prossima grande sfida sarà la tutela paesaggistica.

Proprio Cecchi è stato fortemente coinvolto nella stesura del cosiddetto Codice Urbani del 2004 che, riformando la legislazione in materia, introduce lo strumento del piano paesistico, che le regioni dovranno presentare all'approvazione del Ministero. Così, a p. 117 del libro di Cecchi, si legge: "non si può assolutamente pensare che tutela significhi intangibilità". «Perché non possiamo certo negare le grandi infrastrutture di cui il paese ha bisogno – sottolinea l'autore- Bisogna andare verso il superamento del vincolo, attraverso una valutazione di compatibilità, con un tavolo continuo di confronto. Ed ho già ricevuto i piani territoriali di diverse regioni, dall'Emilia Romagna al Friuli, alla Sardegna, la Campania, la Toscana. E la Toscana è stata la prima regione con cui, a gennaio, abbiamo firmato il protocollo d'intesa sulla co-pianificazione del paesaggio toscano».

Fu la Commissione Franceschini ad introdurre nel 1967 la definizione di "beni culturali", allargando la visione episodica di salvaguardia delle cose d'arte al concetto di "testimonianza storica" esteso a tutti i documenti di civiltà, compreso il loro ambiente. Quasi a chiudere un cerchio, nelle conclusioni del suo libro Cecchi riporta un articolo di Indro Montanelli, pubblicato sul "Corriere della Sera" del 12 marzo 1966, un ritratto di sconsolante attualità sullo stato in cui versa l'amministrazione deputata alla difesa del patrimonio artistico italiano (allora non ancora ministero autonomo, ma accorpata al Ministero della pubblica istruzione). Sorge spontanea la domanda: cosa è cambiato in 40 anni? In realtà sono cambiate molte cose: è cambiato il corpus dei beni soggetti a tutela, estesosi immensamente. Oltre il 50% del territorio italiano è sotto tutela, circa mezzo milione di beni immobili, compresi gli edifici di architettura contemporanea, sono vincolati. Ad essi si aggiungano i centri storici nella loro interezza. E milioni di beni mobili, non quantificabili perché ancora manca un catalogo, una delle piaghe più gravi nella nostra azione di tutela, una delle priorità indicate già nel '67 dalla Franceschini.

È cambiata l'Amministrazione, con un Ministero riformato che ancora non ha avuto l'assetto definitivo. Ed è cambiato la legislazione, prima con il Testo unico del 1999, poi con il Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004. Quella che non è cambiata è la drammatica inadeguatezza dei mezzi, finanziari e di personale. I limiti politici, che hanno fatto sì che l'Amministrazione abbia disimparato a progettare nel medio lungo termine. Quello che deve assolutamente cambiare, e Cecchi lo denuncia nelle sue conclusioni, è un parto degli ultimi decenni, un Ministero dei beni culturali come ministero dell'immagine, e una cultura che non rappresenta più il senso dell'identità sociale.

"I beni culturali. Testimonianza materiale di civiltà"
di Roberto Cecchi
Spirali
Euro 18 pp. 233

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