Passato e storia, secondo l'uso, possono diventare, come la guerra, una "continuazione della politica con altri mezzi". Negli ultimi mesi il passato è emerso con particolare acrimonia in paesi del composito mondo sovieto-comunista crollato poco meno di venti anni fa, toccando direttamente vivi e morti, monumenti e simboli. Riaprendo vecchie ferite. Sullo sfondo o alla base, tuttavia, vediamo il presente e la politica, nelle sue due versioni: interne e internazionali.
La bandiera della Vittoria
Il 9 maggio 7500 soldati di tutte le armi sfileranno a Mosca nella Piazza Rossa, dietro il loro maggior simbolo, la Bandiera della Vittoria. Solo cinque giorni prima, grazie (sembra) a un intervento del presidente Putin, è stato deciso che il prestigioso stendardo resterà lo stesso del 1945: colore rosso, con falce, martello e stella a cinque punte. In precedenza, la maggioranza della Duma aveva deciso di cancellare dallo stendardo la falce e il martello, in quanto simboli comunisti. Così si era espresso la frazione maggioritaria alla Duma di "Russia Unita", il "primo partito del Presidente", tecnocratico e nazionalisteggiante.Contro la Duma si è pronunciato con successo il Consiglio della Federazione (Camera Alta), il cui presidente Sergej Mironov dirige il "partito del Presidente" numero due, fondato pochi mesi fa: "Russia Giusta", sinistreggiante. Si dirà: hanno vinto il legame identitario con la Vittoria e il rispetto per la memoria e per i veterani della Seconda Guerra Mondiale.
Ma non trascuriamo le elezioni di politiche dicembre: Mironov avrà pur pensato ai voti da non perdere di quella parte di paese, consistente, che è nostalgica dell'Urss, decidendo di conservare la vecchia falce e martello.
Cifre e notizie in rete
Intanto, il 4 maggio un dispaccio dell'agenzia ufficiale ITAR-TASS ha comunicato la cifra, che dovrebbe essere definitiva – elaborata dal Centro Memoriale Militare – dei soldati sovietici caduti nella SecondaGuerra Mondiale: 8.860.400. Come nessun altro paese. Inoltre, nel "Giorno della Vittoria" sarà accessibile una banca dati contenente informazioni su 3,5 milioni di quei caduti, elaborati dal Centro Memoriale Militare .
Il Giorno della Vittoria e il Soldato di Tallin
La Grande Vittoria è per i russi il principale fattore identitario sopravvissuto al crollo dell'Urss. E si capisce bene perchè: è stato respinta e battuta un'invasione distruttiva, che aveva per bersaglio lo stesso popolo russo, il suo annientamento.
La Vittoria ha i tanti monumenti e simboli sparsi, oltre che nell'ex-Urss, in molti dei Paesi raggiunti dall'offensiva dell'Armata Rossa del 1943-1945. Nessun governo post-comunista finora si era sognato di rimuoverli. Alla sconfitta del nazismo l'Urss ha dato un apporto decisivo.
Ci ha provato, invece, giorni fa, il governo estone. Alla fine di aprile ha ordinato di rimuovere nottetempo il monumento in bronzo che raffigurava il Soldato Sovietico "Liberatore". Alto due metri e bronzeo, da sessant'anni fino alla fine di questo aprile sovrastava il centro di Talllin, la capitale estone. Inoltre, si è provveduto al disseppellimento e alla traslazione in un cimitero militare fuori città - dove è stato trasferito il monumento - di 13 salme di soldati sovietici sepolte accanto al Monumento. In Estonia sono caduti nella seconda geurra mondiale 50 mila soldati dell'Armata Rossa.
Le due memorie si scontrano: per gli estoni, il Soldato di bronzo simboleggia repressioni e deportazioni di massa, e la forzata comunistizzazione e trasformazione socio-economica ed etnica del Paese.
Per i russi di oggi, specie quelli restati in Estonia (un terzo dei suoi circa 1.350.000 abitanti), il Soldato di bronzo è non solo la Vittoria, ma anche l'emigrazione dei loro nonni e padri in quel paese, che hanno contribuito alla sua industrializzazione in modo determinante, ma in cui ora vivono come cittadini di secondo rango, discriminati e colpiti dalla deindustrializzazione in atto specie dopo l'ingresso dell'Estonia nell'Ue.
Il governo estone ha scelto per la rimozione il momento sbagliato: la vigilia dell'anniversario della Vittoria. Anche la forma ci sembra sbagliata. Non ci si è minimamente preoccupati di discutere il provvedimento con la minoranza russa. Né tantomeno di ferire l'ombrosa suscettibilità di Mosca, che rinfaccia al governo di Tallin (centro destra) la tolleranza nei confronti dei veterani delle SS estoni che oltre a combattere contro l'Armata rossa, parteciparono spietatamente all'Olocausto.
Ma anche le reazioni ufficiali di Mosca sono state fuori misura. Duma e Consiglio della Federazione hanno invocato sanzioni economiche e rottura delle relazioni diplomatiche. Con in più l'assedio - condito di urla, insulti, tamburi e "datsebao" - all'ambasciata estone a Mosca condotto da ragazzi e ragazze in stile "Guardie Rosse", visibilmente organizzati e istruiti dall'alto per la bisogna.
Ma non in ballo non è solo il passato.
E' presumibile che l'appartenenza recente dell'Estonia alla Nato abbia favorito quella ostile rimozione, avvenuta a più di tre lustri dall'indipendenza. E che abbia acutizzato il risentimento e le reazioni di Mosca verso Tallin, specie ora che le sue relazioni con la Nato si sono fatte più tese.
Ungheria
Ma la malattia della memoria ha colpito anche più lontano. Lo dimostra la profanazione ad opera di sconosciuti della tomba di Janos Kadar nel cimitero Kerepesi di Budapest . Per trent'anni aveva guidato l'Ungheria dopo la repressione della Rivolta del 1956, di cui fu complice e tragico protagonista. Pochi giorni fa alcuni sconosciuti hanno trafugato le spoglie sue e della moglie. "Non riposerai in terra consacrata, assassino e traditore" – hanno scritto i profanatori vicino al sepolcro. Kadar non fu un volgare Quisling o un repressore al soldo di Mosca. Fu anche, all'interno di quel mondo, un riformatore, non privo di audacia. Non basta la storia a spiegare l'atto ignobile. E' in corso un'accanita lotta politica contro il governo di centro-sinistra di Ferenc Gyurksany (ex-comunista) da parte dei partiti di destra, estrema compresa.
I terribili gemelli polacchi
Lech (presidente) e Jaroslaw (premier) Kaczynski guidano dal dicembre del 2005 la Polonia. Lo scorso marzo il loro partito, "Diritto e Giustizia", ha votato una legge che promuove una severa "lustracia" o epurazione.
Oltre 700 mila persone (rettori universitari, docenti scolastici, alti funzionari pubblici, giornalisti etc) devono dichiarare di non aver collaborato con la polizia politica (SB) dell'"ancien régime". Verificherà le loro dichiarazioni un ente dal nome orwelliano: "Istituto della Memoria Nazionale", che conserva e controlla centinaia di migliaia di fascicoli dell'SB, con i nomi dei collaboratori e informatori (ma chi verifica ?).
Se il dichiarante renderà falsa testimonianza o si rifiuterà di rispondere verrà licenziato, ad insindacabile giudizio di quell'"Istituto".
Uno che contro il comunismo ha lottato e pagato davvero, l'ex-ministro degli esteri Bronislaw Geremek, è stato tra i pochi a non piegarsi alla nuova Inquisizione. Subito Varsavia lo ha dichiarato decaduto dal seggio di parlamentare europeo. Al tempo stesso, a Varsavia, si è deciso meno di un mese fa di processare l'ex-generale ed ex-leader comunista Wojciech Jaruzelski, 83 anni, un personaggio non privo di una tragica grandezza, come Kadar.
E' vero, fu il repressore di Solidarnosc nel 1981. Ma otto anni dopo favorì la fuoriuscita pacifica della Polonia dal comunismo. Lo si accusa di aver formato "un gruppo criminale": il Comitato militare di difesa (Wron) che realizzò la repressione del 1981. Eppure, quella decisione, forse, evitò al Paese una possibile invasione sovietica.
L'ora della pacificazione era già suonata in Polonia, su finire degli anni Ottanta. Perché far tornare indietro le lancette ?
Infine, al museo lager di Auschwitz i polacchi hanno chiuso qualche settimana fa l'esposizione delle vittime sovietiche. Conterrebbe cifre false, gonfiate – afferma Varsavia, che pretende un pubblico pentimento di Mosca per l'"occupazione". Che Mosca continua a percepire come "liberazione", dimenticando le fosse di Katyn e il resto.
Storia, certo, anche in questo caso. Passato che non passa o che ritorna.
Dietro, tuttavia, possiamo leggervi le difficoltà economiche polacche, l'impopolarità dei gemelli monozigoti tra le élite del loro paese. Ma anche la collera di Mosca per una Varsavia che ha accettato di ospitare strutture antimissilistiche americane. Per non parlare di precedenti contenziosi su export di carne e sui gasdotti.
Che disgrazia l'ingegno
Infine, la Georgia di Mikhal Saakashvili, colpita di recente dalle espulsioni in massa di propri emigrati dalla Russia e bramosa di entrare nella Nato.
Un influente alleato e consigliere presidenziale, Giga Bokerija, visto che nel cimitero monumentale di Tbilisi scarseggiano i posti per futuri defunti eccellenti georgiani, ha proposto di espellere tomba e monumento funebre dello scrittore e diplomatico Aleksandr Griboedov, autore della celebre pièce "Che disgrazia l'ingegno" e tra i padri del grande teatro russo dell' ‘800. Fu là sepolto nel 1829, dopo essere stato trucidato a Teheran da inferociti musulmani.
"Perché tenere nel Panteon georgiano un russo ?" – ha chiesto Bokerija, dimenticando i profondi legami di cultura e familiari che legavano il russo Griboedov alla Georgia.
Per fortuna, la proposta di Bokerija è caduta nel vuoto che meritava. Per ora.
Le dispute sul passato che non passa e la ragione dimenticata
Forse è proprio "l'ingegno", ovvero la razionalità o la ragione, quel che difetta in queste acrimoniose dispute sul passato che non passa.
Istvan Bibo, il grande storico e giurista ungherese, perseguitato e incarcerato durante il regime comunista, in uno suo illuminante saggio del 1946 sui paesi dell'Europa centro orientale scrisse: "Bisogna impedire che i popoli dell'Europa centro - orientale turbino costantemente l'Europa con i loro dissidi".
Un ammonimento valido ora che alcuni di essi, da poco entrati nell'UE, sembrano più ostacolare che favorire i processi unitari e di cooperazione nel Vecchio Continente. Forse sentono di più il fascino (e/o la potenza militare) dell'Oltre Atlantico.