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Rorty: "Va pensiero, anche senza assoluti"

di Armando Massarenti

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23 luglio 1995

Uno dei principali artefici del ritorno della filosofia americanaalle proprie radici pragmatiste, di cui si e' parlato sul Sole-24 Oredel 9 luglio, e' sicuramente Richard Rorty. Forse anche a causa delsuccesso che i suoi libri hanno avuto, e non solo in America, eglinon e' molto amato dai filosofi analitici, la corrente tuttoradominante nei dipartimenti di filosofia, dalla quale egli stessoproviene, e da cui si e' distaccato dichiarando il proprio dissensonei confronti di un idea di filosofia come "scienza rigorosa". Diquel modo 'scientifico' di fare filosofia, tuttavia, nonostante lacontaminazione con altre tradizioni, come l'ermeneutica heideggerianao il filone post-moderno, che egli tenta di armonizzare con ilpragmatismo e la filosofia del linguaggio ordinario, Rorty mantienealmeno la chiarezza dello stile. E, d'altro canto, alcuni dei suoiavversari (tra cui soprattutto Hilary Putnam) sembrano condividerecon lui l'idea che la filosofia analitica debba cercare di usciredalla trappola degli eccessivi tecnicismi per tornare ad occuparsidei grandi temi filosofici che interessano l'umanita'. Non c'e'dubbio che un impulso in questa direzione sia venuto proprio daRorty, con la pubblicazione, alla fine degli anni '70, di Lafilosofia e lo specchio della natura e nel 1982 di Conseguenze delpragmatismo. L'interesse dei filosofi analitici nei confronti delpragmatismo, di cui pero' propongono interpretazioni diverse daquella di Rorty, e' interpretabile almeno in parte come una rispostaalla provocazione di Rorty, con il quale abbiamo deciso di iniziarequesta serie di interviste ai maggiori filosofi americanicontemporanei.Qual e' dunque il messaggio piu' importante che oggi il pragmatismopuo' trasmettere, per la filosofia e per la vita di tutti? "E' lostesso messaggio dell'Illuminismo e dell'umanesimo secolarizzato -risponde Rorty - e cioe' l'idea che non esiste niente al di fuoridella comunita' umana. In un mondo in cui ci siamo solo noi, in cuinon ci sono piu' Dio, la legge morale, la natura della realta', cirimane soltanto la speranza in una societa' piu' libera".C'e' chi sostiene che senza far riferimento a nozioni come realta',verita', valori (sia pure scritti con la lettera minuscola) nonsarebbe possibile pensare. In un suo libro recente, per ora uscitosolo in Francia, Rorty attacca, in tre densi capitoli, tre ideecentrali della filosofia occidentale che egli ritiene superate. Laprima e' quella della Verita' come corrispondenza del pensiero conuna presunta realta' esterna. "Io penso che l'idea della realta' comenatura intrinseca del mondo, insieme al dovere che noi avremmo dicapire in che cosa questa natura consista, sia solo un lascito dellevecchie credenze religiose, un surrogato dell'idea che esista unpotere esterno a noi: Dio o una volonta' esterna a cui dovremmoobbedire. Con la secolarizzazione della cultura l'indaginescientifica e morale non guardano piu' a una realta' posta al difuori di cio' che e' umano, ma si trasformano nella questione di comesia possibile ottenere il maggiore grado di consenso possibile traesseri umani e la maggiore solidarieta' tra di loro. Non dobbiamocercare la verita', ma un piu' largo e ricco consenso tra gli uomini:e la 'ricchezza' dipende dall'ampliarsi della possibilita' di fareobiezioni e di coltivare il dubbio e il senso critico. Cio' chepossiamo sperare e' di avere un gamma sempre piu' vasta di teoriescientifiche o di opzioni politiche, e che le nostre societa'ospitino una discussione sempre piu' libera per il confronto traqueste opzioni e teorie. Se le nostre speranze si concentrano suquesto, possiamo tranquillamente dimenticare l'altra speranza:quella, mal posta, di poter perseguire la Verita'".Cio' che Rorty ci descrive assomiglia molto, nella miglioretradizione pragmatista, a un resoconto sulle precondizioni dellademocrazia. "Piu' che precondizioni - ci corregge Rorty - sonoelementi che la incoraggiano. La democrazia, a mio parere, e' un finein se stessa, non un mezzo per ottenere qualcos'altro. E lo stessovale per la liberta', che non e' un mezzo per arrivare alla verita'".Ma e' possibile argomentare che la democrazia e' migliore rispetto adaltri modi di organizzare la societa'? Altri filosofi, che pure sidicono pragmatisti, come Putnam, cercano di farlo. "No - rispondeinvece Rorty. - Non credo che si possano offrire argomenti filosoficia favore della democrazia. Credo invece si possano offrire argomentistorici. Quando Churchill sostenne che la democrazia e' la peggiorforma di governo escludendo tutte le altre, stava semplicementedicendo: guardate alla storia e ditemi se trovate qualcosa dimeglio".La seconda idea attaccata da Rorty e' quella della ricerca delle"essenze" dietro il mondo delle apparenze. "Su questo punto io ePutnam siamo veramente vicini - dice Rorty -. Ma penso che latendenza di tutta la filosofia del Novecento sia antiessenzialista".Non si puo' dire lo stesso invece della terza idea che secondo Rortyavrebbe fatto il suo tempo: quella secondo cui, in etica, sarebbepossibile far riferimento ad alcuni "valori assoluti". "Su questopunto credo che la mia sia una posizione isolata. La filosofia moralenei Paesi di lingua inglese continua a rimanere sostanzialmentekantiana. C'e' pero' anche qualcuno negli Stati Uniti, tra cui alcunefemministe, che sta cercando di sostituire Kant con Hume, la cuivisione morale a mio parere va molto piu' d'accordo con ilpragmatismo rispetto a quella di Kant".L'idea dell'assenza di assoluti in filosofia morale pero' era gia'stata sostenuta nell'800 da Henry Sidgwick e, negli ultimi decenni,da Stuart N. Hampshire. "Sidgwick - risponde Rorty - era pero' ancoraalla ricerca di criteri generali capaci di guidarci nelle sceltemorali. Dewey invece ha sostenuto, credo correttamente, che cercaretali criteri non sia affatto utile al ragionamento morale. L'etica e'sempre stata caratterizzata da una ricerca di compromessi suquestioni concrete e particolari, dalle quali non si puo' trarrequalcosa di veramente generale". In questo Rorty sembra essered'accordo con Stephen Toulmin, che ha proposto un ritorno dellamorale alla "casuistica", cioe' alla trattazione dei casi morali."Toulmin ha ragione. Bisognerebbe tornare alla casuistica,dimenticata dopo Kant. Dewey ha sostenuto che moralita' e diritto sisono sviluppati organicamente in risposta ai bisogni della societa'.E se questo e' vero la casuistica, e non la ricerca di principigenerali, e' il modo migliore per affrontare i problemi sia moraliche giuridici".A John Dewey, l'ultimo dei grandi filosofi pragmatisti, Rorty ama farriferimento anche quando gli si chiede se la filosofia e' utile perla vita. "Mi sembra che l'immagine greca della filosofia comeriflessione sui problemi eterni che si ripresentano costantementealla mente umana sia sbagliata. Non ci sono problemi filosoficifondamentali. La societa' vive di continui cambiamenti culturali, ede' a questi che il filosofo deve fare riferimento, cercando diinterpretarli e di dare suggerimenti per affrontarli. Dewey hadefinito la filosofia come un'attivita' che attraversa il sensocomune e che, attraverso la critica, cerca di isolare, tra i fruttidel mutamento culturale e sociale, cio' che in esso merita di essereabbandonato da cio' che merita di essere tenuto. Credo che questa siauna delle migliori definizioni della riflessione filosofica che sianomai state date".

(Primo di una serie di articoli)

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