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Libri / Un uomo senza patria di Kurt Vonnegut

di Marco Barbonaglia

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1 giugno 2007

"In caso non l'aveste notato, oggi noi americani siamo temuti e odiati in tutto il mondo proprio come lo erano un tempo i nazisti. E a ragione. Perciò io sono un uomo senza patria".
Non sono parole di un no-global, né di un terrorista e neppure di un integralista islamico travestito da cittadino statunitense. Questa frase è scritta sul retro della copertina di Un uomo senza patria, di Kurt Vonnegut, celebre scrittore americano, autore, tra l'altro, del famoso romanzo Mattatoio numero 5. Con quel libro, ormai divenuto un classico, riuscì, dopo 23 anni di tentativi, a forgiare il suo più grande successo dall'incubo più terribile della sua esistenza: il bombardamento di Dresda. Vonnegut, catturato nella battaglia delle Ardenne, lo visse da prigioniero. Da quell'esperienza terrificante, che lo mise di fronte all'orrore della guerra, trasse l'ispirazione per un'opera, troppo frettolosamente etichettata come best-seller di fantascienza, oggi da molti considerata un capolavoro del pacifismo moderno.
Vonnegut, membro dell' American Academy and Institute of Arts and Letters dal 1992, eletto Artista dello stato di New York per l'anno 2001/2002, è purtroppo recentemente scomparso. Il 10 aprile scorso è morto per i danni riportati in seguito ad una brutta caduta avvenuta tra le mura di casa. L'america ha perso così una delle sue voci più libere e intelligenti. Pacifista convinto, anticonformista, un umanista, come lui stesso si definiva.
Un uomo senza patria è l'ultimo libro che Vonnegut ci ha regalato, prima di andarsene. E' una raccolta di dodici interventi dello scrittore apparsi sulla rivista radicale In These Times. Snobbato dalla grande editoria statunitense, il saggio è stato pubblicato da una coraggiosa casa editrice indipendente, ripagata dalle ottime vendite dell'opera. Solo in America le copie vedute sono state più di 350000.
In dodici capitoli, introdotti da una serie di illustrazioni dello stesso autore, Vonnegut ci parla della sua nazione, un Paese nel quale non riesce più a riconoscersi. Ci descrive i difetti della modernità e tutto quello che ci stiamo, con essa, perdendo. Ma non è la voce di un vecchio che non riesce a stare al passo con i tempi a parlare. C'è tutta la verve dei momenti migliori dello scrittore, il suo tono comico e caustico, la sua vena polemica. Gli ingredienti della grande prosa di Kurt Vonnegut, insomma.
Nei giorni della guerra all'Iraq e all'Afghanistan, l'autore mette alla berlina il neo-imperalismo dell'amministrazione Bush, il capitalismo sfrenato delle multinazionali, la follia di un mondo che va troppo veloce, senza mai fermarsi a riflettere. E lo fa in un modo originale, distinguendosi da qualsiasi altra voce critica sull'America di oggi. Con uno stile frizzante ma asciutto, si ferma, volta per volta, per raccontare qualche cosa che ha a che fare con la letteratura, la filosofia o, più semplicemente con i ricordi: dallo spinello fumato con i leggendari Grateful Dead, al bombardamento di Dresda. Dell'esperienza più tragica della sua vita dice: "Fu un atto distruzione assurdo, insensato. L'intera città venne rasa al suolo: un'atrocità commessa dagli inglesi, non da noi (...) Fu un esperimento militare per scoprire se si poteva distruggere un'intera città con una pioggia di bombe incendiarie".
Frasi lapidarie, provocazioni intelligenti, paradossi. E' la materia con la quale è costruito il libro. "Il sistema immunitario del pianeta sta cercando di sbarazzarsi degli esseri umani" dice. Oppure cita il libro di Craig Unger, House of Bush, House of Saud " pubblicato nel 2004-aggiunge Vonnegut- un anno umiliante, vergognoso zuppo d sangue".
Come nella migliore tradizione della controcultura e dell'underground statunitense, accanto ad una critica serrata alla società nella quale vive, c'è il rimpianto per il sogno di un'altra America perduta. E allora, ecco che lo scrittore indica personaggi come Mark Twain o Abraham Lincoln, come simboli di un grande Paese che avrebbe anche potuto prendere altre strade. Del sedicesimo presidente cita una frase, pronunciata quando era ancora solo un deputato, a proposito dell'allora leader della nazione Polk e della guerra scatenata contro il Messico. " Confidando di poter sfuggire sempre a ogni giudizio, indirizzando lo sguardo dell'opinione pubblica sull'eccezionale fulgore della gloria militare- affascinante arcobaleno che si leva dopo piogge di sangue, occhio di serpente che incanta per distruggere- si è lanciato a capofitto verso la guerra". Era il 1848. E' difficile pensare a qualche cosa dell'epoca che sia rimasto attuale come questo discorso. Si potrebbe pensare che qualcuno lo abbia pronunciato l'altro ieri...

Un uomo senza patria
Kurt Vonnegut.
minimum fax, 116 pagine.
11,50 euro.

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