"Le tasse sono quella cosa grazie alla quale ciascuno di noi lavora per lo stato senza aver fatto un concorso per diventare dipendente pubblico". Inizia così, quasi giocando con il famoso jingle dell'indimenticabile secondo marito di Nancy Reagan, il presidente Ronald, santino di qualunque capitalista estremo occidentale. Ma l'ultimo libro di Oscar Giannino, precipitato purissimo del miglior liberalismo nazionale, è tutto meno che un gioco.
Con lo stile caustico degno dell'irraggiungibile Giulio Tremonti, con "Contro le tasse" il direttore di Libero Mercato spiega perché in Italia abbattere le imposte "si può, si deve, e non è affatto di destra". I motivi sono almeno quattro. Perseguire un disegno di maggior libertà per gli individui, visto che meno reddito disponibile equivale a minori possibilità di soddisfare i più che legittimi desideri privati. Destinare maggiori risorse all'economia viva, che crea ricchezza e non la disperde negli ingranaggi della megamacchina della spesa. Colmare la distanza con le economie principali del mondo e d'Europa. Realizzare un maggior dinamismo sociale, iniziando dal basso ma non a beneficio della parte più bassa della società.
E' questo il punto cruciale dell'analisi di Giannino, che tra analisi di dati e statistiche Ocse si prende la rivincita su tutta la vulgata marxista, rovesciando il punto di vista della dinamica sovrastrutturale della lotta di classe perché le classi più antiche sono quella di chi produce ricchezza e chi la consuma. Per il liberale Giannino, per ottenere i benefici delle classi meno abbienti occorre che il taglio dell'aliquota sia forte, ripetuto nel tempo e dedicato a chi guadagna di più. Una logica scientifica per spiegare il senso comune, per cui se le tasse sono più basse conviene pagarle piuttosto che evaderle. Proprio come avviene negli Stati Uniti, dove grazie a prelievi sensati i super ricchi hanno accresciuto la propria quota di sostegno alla spesa pubblica "dimezzandola" ai poveri.
Sullo sfondo della prospettiva di Giannino, il cui look assomiglia giorno dopo giorno più al Mandeville sostenitore della necessità del lusso che al Murray N. Rothbard convinto dell'equazione ‘tassa uguale rapina', emergono polluzioni spenceriane o, nella migliore delle ipotesi, gandhiane. Continuare a vivere in un paese dove chi produce ricchezza è perseguitato spesso oltre il 42 per cento chiama i migliori - nel senso pericleo del termine - a interrompere qualunque rapporto con lo Stato. O perlomeno a fortissime azioni di disobbedienza civile come quelle dell'India contro il dominio britannico. Tagliare le tasse non è una richiesta di destra, ricorda con fermezza l'anarchico Giannino, visto per giunta che la destra nasce storicamente, in Europa, imponendo le tasse. E' invece un azione che riporterebbe l'Italia nel consesso dei paesi civili, proprio come una scuola, una sanità e una cultura degne di questo nome.
Oscar Giannino
Contro le tasse
Mondadori, pp.132, 12 euro