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C'è baruffa tra i pragmatisti

di Francesca Bordogna e Armando Massarenti

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20 gennaio 1991

Perche' una tradizione come quella del pragmatismo americano non hamai veramente attecchito in Italia? Se un filosofo come Richard Rortye' riuscito ad avere una certa audience anche da noi e' perche' ilsuo pragmatismo e' fortemente influenzato dalle visioniantiscientifiche dell' ultimo Heidegger. Un Heidegger filtrato dafilosofi francesi, come Derrida e Foucault, oggi di gran moda _ peruna volta in ritardo persino sull' Italia _ negli Stati Uniti.Non sono invece mai arrivati i grandi pragmatisti del passato, come James, Peirce e Dewey, ne' sembrano destinati a maggior successo iloro seguaci contemporanei. Tra questi vi sono due dei massimiepistemologi Hilary Putnam, di Harvard, e Ian Hacking, dell'Universita' di Toronto, che abbiamo avuto modo di incontrare a unrecente convegno, su "History and Philosophy of Modern Sciences",organizzato a Firenze dal Centro fiorentino di storia e filosofiadella scienza. E' emerso uno spaccato del pragmatismo americanocontemporaneo che mette in luce le conseguenze per una riflessionesulla scienza e sulla razionalita' , delle quali si e' molto lontanidal dichiarare la bancarotta.Dunque sia Hacking che Putnam si rifanno ai padri del pragmatismoamericano. Putnam ha dedicato a questo argomento l' ultima sezione diRealism with a human face, appena pubblicato dalla Harvard UniversityPress, e sta scrivendo un libro su William James. Hacking, nel suoultimo libro The Taming of Chance, ama invece riallacciarsi a CharlesPeirce, un filosofo dal carattere scostante _ si racconta che unavolta tiro' un mattone in testa a una collega, provocando grandescompiglio nel dipartimento di filosofia della Johns HopkinsUniversity, a Baltimora, dove insegnava _ ma dalle intuizionigeniali."Se solo Peirce fosse stato un po' piu' umano| _ dice Hacking _Comunque ho una grande simpatia per lui, specialmente quando dice:"Accidenti, non sopporto questo pragmatismo; chiamiamolopragmaticismo". Una brutta parola, che nessuno gli avrebbe mairubato. Quello che non sopportava era un certo pragmatismo popolare,che oggi per me e' rappresentato da Richard Rorty. Nel suo saggio suScience as a natural Kind, (Scienza come genere naturale), Rorty poneil problema in modo sbagliato, che lo porta a concludere che non cisarebbe una gran differenza tra scienza e critica letteraria. Che lascienza non sia un genere naturale e' ovvio. Ci sono molti tipi discienza, che dicono in modi diversi che cosa significa essere un"essere umano": e da qui nasce la tendenza naturale a "raccontarestorie" di cui parla Rorty".Insomma, non esiste la Scienza contro cui Rorty si scaglia, un falsobersaglio anche per Heidegger; esiste piuttosto una pluralita' dipratiche scientifiche con diversi "stili di ragionamento", oppurecome direbbe Wittgenstein, diversi "giochi linguistici". "Ilpragmatismo popolare alla Rorty _ conclude Hacking _ minaccia gliaspetti dell' attivita' filosofica che io rispetto di piu' . Se vuolerifarsi ad Heidegger, faccia pure: non mi va il suo tentativo diimpadronirsi di Wittgenstein".Putnam, che del pragmatismo continua a preferire la versione diWilliam James, si dichiara d' accordo: "Non credo pero' che l'immagine che ha Rorty di James sia errata: Rorty conosce bene James,e se ne e' impossessato. Ma non bisogna dimenticare che James, comePeirce, ha una teoria della verita' come "consenso finale": laverita' e' vista cioe' come un insieme coerente di credenze che sara'accettata dalla comunita' piu' ampia possibile di ricercatori altermine di una indagine seria e impegnata". Ne' Peirce ne' James,insomma, avrebbero mai accettato il relativismo culturale tipico,invece, del pragmatismo di Rorty. "James ha usato formule sullaverita' alla Peirce, come "la verita' e' la fede dei popoli" _continua Putnam _. James parla sempre della verita' al plurale, conun noi. Non c' e' una verita' per me o per te, ne' negli scritti diJames compare mai l' idea di una verita' relativa a una cultura". Neitermini di Wittgenstein, non e' possibile un "linguaggio privato",ma, continua Putnam, "gia' in un saggio di James, The moralphilosopher and the moral life, compare con maggior chiarezzarispetto a Wittgenstein la prima esposizione dell' argomento sullinguaggio privato".Anche per Putnam la realta' non puo' esistere al di fuori di unacomunita' che la costruisce. Cosi' pure la descrizione di un fattoscientifico non e' possibile se non all' interno di una teoria. Maquesto, ancora una volta, non significa accettare il relativismo diRorty, ma spinge Putnam verso una forma sofisticata di "realismointerno" o "realismo con la erre minuscola", che pero' non convincepienamente Hacking. L' impressione, infatti, e' che questa metaforadell' interno presupponga l' idea di un solo interno, il chericondurrebbe a quell' immagine globale e unitaria della conoscenzache Hacking rifiuta. "Anche se Putnam a parole ha elogiatomeravigliosamente l' idea di ' diversita" _ spiega _ in realta' nonne ha fatto alcun uso. Io credo che ci siano davvero diversi modi incui la conoscenza si sviluppa, stili di pensiero distinti, magari noncompletamente autonomi e in parte sovrapposti. E' quello chericonosciamo comunemente quando parliamo di scienze differenti. Il"realismo interno" suggerisce l' idea di una sola visione, un solointerno. A mio parere, invece, bisogna sottolineare l' esistenza didiversi interni".Ma in realta' anche su questa visione pluralista Putnam si dichiarad' accordo: "Abbandonerei volentieri l' espressione "realismointerno", per parlare di "vero realismo". In ogni caso quello cheintendevo per realismo interno e' proprio il contrario di quello chetutti hanno capito. Non si trattava di opporre "interno" a "esterno".L' idea era invece che i giochi linguistici di Wittgenstein non hannoun esterno. Non vedo questo grande disaccordo tra me e Hacking,semmai potrebbe esserci con una certa lettura di Wittgenstein, unpensatore che reclamerei al mio fianco. Filosofi come Kripke e Rortyritengono che un gioco linguistico sia qualcosa di descrivibile dall'esterno: c' e' un gioco, il ' parlante' agisce sotto certe condizioniche possono essere specificate dall' esterno, gli sono permessi, perdirla con Rorty, certi "suoni e certi segni". Questa e' l'interpretazione positivistica di Wittgenstein, un' interpretazinesbagliata. Non si puo' stare "fuori dal linguaggio" trasferendosi nelmetalinguaggio caro ai neo-positivisti, da dove si potrebbero vederecon chiarezza tutte queste cose"."Sono colpito dalla sua idea che i giochi linguistici non hanno unesterno _ dice Hacking _. Anch' io credo che non esista un "esterno"per i giochi linguistici. Fuori non c' e' niente"."Certo _ riprende Putnam _. Per descrivere un gioco linguisticobisogna stare dentro il gioco e questo vale anche per i giochiscientifici. Imparare nuovi giochi linguistici non significa imparareparadigmi in modo meccanico piu' di quanto imparare a suonare ilviolino significhi imparare meccanicamente a suonare dei brani.Bisogna anche saper fare questo: ma se ci si ferma qui, non si potra'dire di essere entrati davvero nel gioco del violino. Entrare in ungioco linguistico significa farlo diventare, in modo profondo, partedella nostra vita".Se di realta' e verita' si puo' parlare solo all' interno di unateoria, come e' possibile evitare le strettoie del relativismo? Larisposta, per Putnam, viene dal pragmatismo "buono" di Peirce eJames. "Non sono d' accordo con Peirce e James sull' idea di unaverita' ultima, a cui, alla fine, la comunita' dovrebbe convergere.Desidero pero' difendere la "grande" prospettiva del pragmatismo.Rorty ha ragione sul fatto che non c' e' un algoritmo che insegni aessere razionali e a raggiungere la verita' . Ma questo non permettedi concludere, come fa Feyerabend, che non c' e' un metodo per l'indagine scientifica e che "ogni cosa va bene". Questa e' una mossamolto recente".I grandi pragmatisti, Peirce, James e Dewey non sarebbero stati d'accordo. "Ritenevano infatti che l' esperienza ci ha insegnato alcunibuoni principi da impiegare in ogni indagine _ aggiunge il filosofodi Harvard _. Il principio del controllo, secondo cui bisogna sempremettere alla prova i criteri che si usano; quello del fallibilismo,secondo cui l' uomo non e' infallibile, ma si affida acriticamentealla autorita' - un' idea che puo' sembrare banale; ma anche inquesto congresso ci sono persone, come Marcello Pera, che credono chetutto sia retorica: non e' vero che tutto e' retorica -. Infine ilprincipio della comunicazione, secondo cui se si sostiene che un'asserzione e' vera, allora non ce ne si puo' servire per discuterequella stessa affermazione. Tre principi che offrono una viapraticabile a ogni tipo di indagine. Ci permettono di stabilire cheil confine tra ragionevole e irragionevole non e' solo una questionedi gusto".Proprio il pragmatismo, che relativisti come Rorty chiamano dallaloro parte, puo' cosi' offrire una alternativa al relativismo. Comedice Putnam, se e' vero che "i problemi filosofici non possono essererisolti, tuttavia esistono modi migliori o peggiori di pensareintorno a essi".

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