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Libri/ Vertigini d'angoscia e precipizio sulla Scogliera di Olivier Adamdi Stefano Biolchini |
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Leggendo Olivier Adam ho ripensato alla maestria dei venditori arabi: le sue dosi d'angoscia riversate in pagina fanno struggere rendendo alle parole dosate fino allo spasmo la caratura piena della letteratura. Perché se è vero che, come già scrissi in occasione della recensione di Passare l'inverno, questo autore della periferia francese sa distillare come pochi le parole, qui con Scogliera, abbandonato l'uso del racconto breve, (più congeniale per una prosa asciutta fino allo spasmo, come Carver insegna) il giuoco si faceva più arduo. Facile - facilissimo data la storia crudissima - sarebbe stato scadere nel lacrimevole: ma il pericolo è stato evitato, e con che risultato! È una storia di e sull'infanzia perduta. Un percorso a ritroso alla ricerca degli anni dimenticati e difficili di un bambino e di suo fratello, orfani della madre suicida e vittime di un padre estraneo e violento. Dolori precoci per due ragazzini alle prese con la depressione di una madre stanca che sceglie di volare fra le onde che s'infrangono su un'alta scogliera; scogliera che sarà poi il rifugio del protagonista. Divenuto un adulto in balìa anch'egli, se non dei marosi, delle tragedie quotidiane di una vita segnata invariabilmente. Con Adam sono qui dolorosi anche i giochi di bimbo, i primi amori consumati anzitempo e segnati dalla anoressia della giovane amante. Denso di nubi e caliginoso l'amore maturo, sfociato in un suicidio; tragica l'amicizia per il compagno di scorribande. Esistenze periferiche tutte vergate d'angoscia e illuminte dalle fredde luci bluastre dei neon della Parigi estrema. Esistenze che però sfociano in tenerezze pienissime nelle complicità silenziose dei due fratelli, nel caldo e protettivo amore di un uomo che con la paternità scopre e rende un senso al proprio vivere. Intensissimo è poi l'amore per la compagna della vita, per colei che sa capire anche le fughe di un uomo alla ricerca di un senso smarrito da sempre. Poche righe per riassumere la poetica costante di questo autore che sa coniugare le intermittenze proustiane con il minimal d'oltreoceano, in questa che dopo i recenti racconti acidi e densi è dunque l'opera matura; non è dato sapere fin quanto autobiografica, anche se certe note vibrano di densità fin troppo vivide e tali da lasciar trasparire vissuti possibili e percorsi evidentemente ardui. Certe sensibilità esposte con tocco gentile e femmineo rendono alcuni passaggi come di vetro: delicatissimi e fragili, forti del periodare chiaro e scorrevole che di questo autore è canone primo. Peccato per il finale: «So già che al risveglio, quando aprirò gli occhi e le tende, tutto sarà calmo e luminoso»: è l'unica concessione a un ottimismo necessario che però si fa scontato. Olivier Adam,
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