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Libri / Grossman, guardare la realtà con gli occhi del nemico

di Pino Fondati

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20 luglio 2007

Si può parlare di pace in un paese che ogni mattina da sessanta anni si sveglia pensando alla guerra? Certo che si può, anzi si deve. E ognuno deve fare la propria parte, perché il conflitto tra israeliani e palestinesi non è più da tempo solo una questione politica e militare. Sulle sottili linee di confine, bruciate dall'odio e dalle bombe, di terre sacre per tre religioni, attraverso una storia che sintetizza tutto il Novecento, dalla Shoah al terrorismo globale, lo scontro tra i due popoli è al tempo stesso un'emergenza umanitaria, un confronto di culture e un terreno su cui si confrontano ideali, storie personali, sentimenti collettivi e ideologie. Ecco perché famosi scrittori israeliani, come Abraham Yehoshua, Amos Oz e David Grossman, sono tra le voci più autorevoli e ascoltate nel dibattito sulla guerra israelo-palestinese. Gli scrittori hanno saputo raccontare tutte le dimensioni della vicenda israeliana, unendo l'attenzione alla cronaca, il respiro della narrazione e la visione del romanzo. Ora compare il nuovo libro di Grossman, che in questa vicenda dolorosa ha perso un figlio alla fine dell'estate scorsa sul fronte libanese, e mai è stato sfiorato da un sentimento di odio. La ragione è presto spiegata: egli è capace di guardare "con gli occhi del nemico".

Il libro contiene, oltre all'ormai celebre discorso di commemorazione di Rabin pronunciato dallo scrittore il 4 novembre 2006, due brevi saggi inediti, che ne confermano la statura intellettuale e umana. Lo scrittore affronta una sfida immane: scrivere, raccontare, creare storie e personaggi in grado di far entrare i lettori nella pelle di un altro, farli pensare con la testa di un altro, far loro guardare la realtà con gli occhi di un altro. Anche se l'altro è un nemico. Sì, perché quando avremo conosciuto l'altro dall'interno, da quel momento non possiamo più essere completamente indifferenti a lui. Non potremo comportarci come se non esistesse, o come se non fosse una persona. Dovremo quindi tenere conto delle sue ragioni, della sua storia, delle sue rivendicazioni. E forse capiremo di più i suoi e i nostri errori. Che cosa ha impedito finora, agli israeliani e ai palestinesi, di fare questo passo, di guardarsi con gli occhi dell'altro? La paura, risponde Grossman. Perché se ci si concede ad alcune delle giuste rivendicazioni, ad alcune delle sofferenze reali del nemico, se si prova un po' di simpatia per lui, immediatamente si prova un sentimento di debolezza, la resistenza (mentale, prima che fisica) contro il nemico è distrutta, devastata. Ecco, la sensazione, fra israeliani e palestinesi, è che si tratti di un gioco a somma zero, tutto o nulla, in cui, se si concede all'altro una qualche legittimazione, si corre il rischio di non avere alcuna giustizia.

Grossman parla della guerra per i suoi effetti devastanti non soltanto sulla realtà esterna, ma anche sulla vitalità, sulla "tonalità interiore" di ciascuno di noi. Con lui tocchiamo con mano quale dono prezioso sia la scrittura per chi vive in un paese in guerra, un dono capace di accendere una speranza e indicare una via di uscita dal tragico labirinto. Scrivere diventa un mezzo per rendere il mondo meno estraneo e nemico, il dolore meno paralizzante e insopportabile, il linguaggio meno povero e fossilizzato dagli stereotipi dell'odio e della paura. In questo senso, i brevi saggi non sono solo un'amara riflessione sulla situazione israeliana ma anche una testimonianza di lancinante bellezza sul valore della letteratura. E sulla sua capacità di contribuire alla pace.

La guerra è male, lo sappiamo; ma è grave che il ricorso alla guerra sia così facile e immediato. Perché? Perché, dice Grossman, nessuno comincia veramente una guerra, le guerre si continuano, sono senza soluzione di continuità. La pace, invece, quella sì, è qualcosa che si deve cominciare.

Con gli occhi del nemico
di David Grossman
Mondadori, 2007
115 pagine, 12 euro

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