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Il compromesso" dell'America contemporanea secondo Elia Kazan

di Francesco Prisco

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30 luglio 2007

Dell'Elia Kazan regista qui in Europa conosciamo praticamente tutto: dalle opere esemplari "Frante del porto", "Un tram che si chiama desiderio" e "La valle dell'Eden" ai cinque Oscar vinti, dalla fondazione dell'Actor's Studio al fiuto ineguagliabile che lo portò a scovare i talenti di Marlon Brando e James Dean, fino alla triste vicenda di collaborazionismo che, negli anni Cinquanta, lo vide tra i principali delatori al servizio della Commissione McCarthy. Il Kazan scrittore è invece un illustre sconosciuto. Un vero peccato, dal momento che davanti alla macchina da scrivere il cineasta originario dell'Anatolia seppe evocare fantasmi inquietanti, almeno quanto quelli che resero inconfondibile il suo cinema.
Mattioli 1885 offre a noi italiani la possibilità di colmare questa ingiustificata lacuna pubblicando "Il compromesso", romanzo apparso negli Usa nel 1967, quando l'autore di anni ne aveva 58 e gli amici di un tempo gli avevano già voltato le spalle da un pezzo, non riuscendo a perdonargli l'onta di aver gettato benzina sul fuoco della Caccia alle streghe, aiutando il senatore McCarthy a depurare Hollywood dalle cosiddette «spie comuniste». "Il compromesso" è infatti un meraviglioso libro della crisi, autobiografico quel che basta per riuscire sincero. Il protagonista è, come l'autore, un greco originario dell'Anatolia che nel Nuovo mondo ha trovato il successo professionale: si chiama Evangelos Arness ma con il nome Eddie Anderson è l'uomo di punta di una grande agenzia pubblicitaria californiana, mentre con lo pseudonimo di Evans Arness scrive reportage al vetriolo per una rivista radical chic, bersagliando i parvenu della politica a stelle e strisce. Ha moglie, figlia adottiva, casa in California, cottage in cui trascorrere l'estate, quadri di Picasso alle pareti, libri rari e amici intellettuali. La sua vita è un meraviglioso quanto immenso fabbricato di ipocrisie quotidiane e sarà Gwen, una sensuale collega disinibita e dal passato burrascoso, ad accendere la miccia che farà esplodere tutto. A cosa serve, infatti, questo tutto? Sta qui la domanda che domina la complessa opera narrativa di oltre cinquecento pagine.
Il protagonista - che ripercorre l'intera sua vicenda attraverso un possente utilizzo dell'io narrante - sarà pronto a rendersi povero, ubriaco in mezzo a chi è stordito dalla sobrietà forzata, folle tra quanti si credono sensati, senza lavoro e senza rispettabilità pur di concedersi un brandello di libertà, al riparo di quell'incubo al technicolor che chiamano sogno americano. Dietro la vicenda c'è tutta la disillusione di Kazan, intellettuale tormentato perché probabilmente consapevole dei propri errori che, tuttavia, non si accontenta della fin troppo ovvia strada dell'apologia. Preferisce processarsi, mostrarsi in tutte le sue debolezze di fedifrago, bugiardo, rissoso, maschilista e incoerente uomo di mezza età. Non ha paura di prendersela, come scrive Gian Paolo Serino nella postfazione, con «quel mondo di falsità borghesi destinate ad impiccare la vita a nodi regimental». Non fa sconti e non si fa sconti. Non potrebbe, d'altra parte. Dal "compromesso" della società occidentale non tutti riescono ad uscire e qualsiasi tentativo di evasione finisce prima o poi per essere bollato come follia. Qualcuno, talvolta, riesce però ad evadere e a rendersi finalmente libero. Magari a prezzo di trovarsi a gestire uno spaccio della desolata provincia americana. Ma e sempre meglio che vivere con tre nomi e mille volti da cambiare a seconda della circostanza.


Elia Kazan
"Il compromesso"
Mattioli 1885
Euro 22,00
Pagine 539

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