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Immigrati: perché dico che non esiste un diritto all'invasione

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Quali sono le "sfide" che ci attendono? Ne sono evocate due:il crescente afflusso di genti che giungono a noi da Paesi
lontani e diversi; il diffondersi di una cultura non cristiana tra popolazioni tradizionalmente cristiane.Quanto alla questione della immigrazione, rimandiamo a quanto avrei detto in modo più ampio alla fine di quello stesso mese di settembre.
La seconda sfida, si dice qui, è quella che più ci preoccupa e ci inquieta: è in atto un'ossessiva e sistematica aggressione al fatto cristiano; ed è stupefacente che molti cattolici (anche tra quelli più facondi e acculturati) non se ne avvedano e molti uomini con eminenti responsabibità ecclesiali non sappiano o non vogliano prenderne atto.
L'ortodossia, anche all'interno delle nostre comunità e perfino in qualche settore dell'insegnamento teologico, appare da più parti insidiata. In termini espliciti qui si afferma che proprio questa è la condizione ineludibile perché la comunità ecclesiale si inoltri senza pericolo nel terzo millennio: «un chiaro risveglio della fede... non solo ospitata consapevolmente nei cuori, ma anche proclamata nella società senza alterazioni o mutilazioni. E dovrà essere una fede professata senza censure ideologiche senza inescusabili concordismi conla mentalità oggi dominante».
Se vuol salvare il suo "volto", la sua "anima", la sua nativa bellezza, la sua impareggiabile "umanità", Bologna deve restare "petroniana". Pur rispettando e, possibilmente, assimilando ogni positivo e omogeneo apporto culturale che la storia le vorrà offrire, non dovrà mai venir meno al compito, che è primario e irrinunciabile, di assicurare al suo ignoto futuro la sua
evidente e splendida identità cristiana.
L'immigrazione
Sul grave e spinoso problema dell'immigrazione, dopo essermi pronunciato nella Nota pastorale (2000) sono ritornato il 30 settembre 2000 parlando al seminario organizzato dalla Fondazione "Migrantes" a Villa Imelda di Idice. Rimando a quella esposizione analitica e articolata, con la raccomandazione di non dare troppo credito a quanto è stato poi riferito dai
mass-media né alle spensierate e incontrollate interpretazioni del mio pensiero. Qui mi limito a riferire alcuni passi di particolare rilievo.
Diritti e doveri
«È incontestabile il principio che a ogni popolo debbano essere riconosciuti gli spazi, i mezzi, le condizioni non solo di sopravvivere ma anche di esistere e svilupparsi secondo quanto è richiesto dalla dignità umana». «Ma non se ne può dedurre che una nazione non abbia il diritto di gestire e regolare l'afflusso di gente che vuol entrare a ogni costo. Tanto meno se ne può dedurre che abbia il dovere di aprire indiscriminatamente le proprie frontiere». In altre parole, non esiste un "diritto di invasione".
L'identità nazionale
«Una consistente immissione di stranieri nella nostra penisola è accettabile e può riuscire anche benefica, purché ci si preoccupi seriamente di salvaguardare la fisionomia propria della nazione. L'Italia non è una landa deserta o semi disabi tata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza una inconfondibile fisionomia culturale spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto».
«Bisogna perciò concretamente operare perché coloro che intendono stabilirsi da noi in modo definitivo si inculturino nella realtà spirituale, morale e giuridica del nostro paese, e siano posti in condizione di conoscere al meglio le tradizioni letterarie, estetiche, religiose della particolare umanità della quale sono venuti a far parte».
Criteri per l'accoglienza
«A questo fine, le concrete condizioni di partenza degli immigrati non sono ugualmente propizie; e le autorità non dovrebbero trascurare questo dato della questione. «In questa prospettiva realistica, andrebbero preferite le popolazioni cattoliche o almeno cristiane, alle quali l'insirimento risulta enormemente agevolato; poi gli asiatici, che hanno dimostrato di sapersi integrare con buona facilità, pur conservando i tratti distintivi della loro cultura. Questa linea di condotta – essendo laicamente motivata – non dovrebbe lasciarsi condizionare o disanimare nemmeno dalle possibili criti che sollevate dal l'ambiente ecclesiastico o dalle organizzazioni cattoliche».
La "religione nazionale storica"
«Nessuno ignori o dimentichi che il cattolicesimo – che indiscutibilmente non è più la "religione ufficiale dello Stato" rimane non di meno la "religione storica" della nazione italiana, la fonte precipua della sua identità, l'ispirazione determinante delle nostre più vere grandezze. Sicché è del tutto incongruo assimilarlo socialmente alle altre forme religiose o culturali, alle quali dovrà essere assicurata piena e autentica libertà di esistere e di operare, senza però che questo comporti un annichilimento dei valori più alti della nostra civiltà».
La scelta tocca all'Italia
Tutto ciò significa che non si è contrari affatto all'immigrazione. Ma è evidente che non si possono accogliere tutti; bisogna scegliere. E la scelta tocca ai responsabili dello Stato Italiano, non ad altri. Diversamente c'è il rischio non immaginario che a decidere siano tra gli stranieri i prepotenti e coloro che sono intenzionati a conquistarci.
Alle comunità cristiane
Il discorso fin qui fatto è indirizzato alle autorità politiche del nostro Paese: non è per sé compito della Chiesa affrontare i problemi sociali che la storia di volta in volta ci presenta. Noi perciò non dobbiamo nutrire nessun complesso di colpa a causa delle emergenze anche imperiose alle quali non ci riesce di rimediare efficacemente. Due sono invece i nostri doveri statutari. Il primo, che è del popolo di Dio e di ogni singolo battezzato, è far conoscere a tutti Gesù di Nazaret e il suo necessario messaggio di salvezza. Il secondo è l'osservanza del comando dell'amore da esercitare nei confronti di tutti.
Di fronte a un uomo in difficoltà – quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza i discepoli di Gesù hanno il dovere di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità.
Generale incoscienza
«Purtroppo né i "laici" né i "cattolici" pare si siano resi conto finora del dramma che si sta profilando. I "laici", osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l'ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi. I "cattolici", lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all'ansia apostolica il puro e semplice dialogo ad ogni costo, inconsciamente preparano (umanamente parlando) la propria estinzione». «La speranza è che la gravità della situazione possa a un certo momento portare a un efficace risveglio sia della ragione sia dell'antica fede».

(Tratto da Memorie e digressioni di un italiano cardinale di Giacomo Biffi)

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